7.5
- Band: SERIOUS BLACK
- Durata: 00:46:50
- Disponibile dal: 31/01/2020
- Etichetta:
- AFM Records
- Distributore: Audioglobe
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Che le pretenziose origini del progetto Serious Black siano ormai andate a farsi benedire è un dettaglio ben noto già da diverso tempo: quella che era nata originariamente come una nuova collaborazione tra entità illustri del calibro di Roland Grapow e Thomen Stauch, oggi altro non è che una delle numerose formazioni di genere power metal made in Europe che è possibile reperire sul mercato. Tuttavia è bene fare attenzione, poiché gli attuali membri coinvolti sono comunque musicisti talentuosi e dalla carriera tutt’altro che da sottovalutare, e non a caso anche i due lavori successivi allo sfavillante esordio “As Daylight Breaks” rappresentano degli ottimi esempi di come confezionare un prodotto di questo tipo, con una buona dose di classe e capacità.
Nel nuovo concept album “Suite 226” le tematiche filosofiche combinate all’atmosfera fantasy si tingono di colori più spenti, deviando in un territorio rappresentativo che fa del clima ospedaliero la propria facciata principale, proponendo una storia che ruota attorno all’incapacità di un detenuto di accettare la realtà, preferendo immergersi in una sorta di contesto ideale di stampo medievale; il che si traduce in un songwriting relativamente più cupo rispetto a quanto fatto in precedenza. Le tastiere iniziali di “Let Me Go” annunciano una opener dotata di spunti emotivi contrastanti, interpretati ottimamente da un Urban Breed che passa con disinvoltura da delle strofe contorte e quasi parlate, ad un ritornello malinconico dalle forti connotazioni melodiche. Queste ultime rimangono anche in “When The Stars Are Right”, che tuttavia predilige una presentazione decisamente più classica e lineare, differentemente dalla successiva “Solitude Etude”, dotata di un ritmo furioso che modula poi in una sorta di mid-tempo freddo e avvolgente. “Fate Of All Humanity” adotta un gusto decisamente più ‘ottantiano’, avvicinandosi quasi ad un brano AOR di buona fattura, con tutte le scelte stilistiche che questo comporta; prima di una “Castiel” che, dopo l’inizio da semi-ballad, cambia rotta in favore di un brano heavy/power con tutti i crismi, cadenzato e coinvolgente per tutta la sua durata.
Giunti a metà disco possiamo dire che la vera star è proprio il sopracitato frontman, il quale cavalca come un’onda la compattezza del comparto strumentale dando il meglio di sé, in una prestazione vocale maiuscola e difficilmente sostituibile. Purtroppo non si può dire lo stesso per gli altri musicisti, che pur fornendo appunto una prova quadrata e solida, non hanno mai veramente occasione di sfoggiare le proprie capacità e divenire protagonisti; il che rimane evidente anche in un brano dai richiami più orchestrali come la simil-gotica “Heaven Shall Burn” o nella del tutto differente e decisamente più pop “Way Back Home”. Tuttavia la vera chicca arriva con “We Still Stand Tall”, unico estratto proposto in sede live nella recente data di supporto ai colleghi scandinavi Hammerfall e Battle Beast: quattro minuti e mezzo di power metal fomentante e che richiama perfettamente il suo titolo, stimolando in ogni ascoltatore la determinazione di continuare a ergersi ben saldi sulle proprie gambe, anche in un momento di difficoltà come quello che stiamo vivendo.
Con la toccante “Come Home” ci avviciniamo al finale udendo il suddetto richiamo da casa, notando l’ottima cura per i dettagli e per il gusto musicale dai richiami classici, in grado di confezionare una power-ballad degna del 2020. Audace a modo suo, inoltre, la scelta di collocare la titletrack a fine album, ma trattandosi di una suite di quasi nove minuti possiamo comprendere, anche in riferimento al titolo stesso: una vera e propria conclusione simil-drammatica in cui realtà e immaginazione collidono, fornendo un’importante dose di epicità e mantenendo acceso quel barlume di speranza nel momento in cui si tenta per l’ultima volta la fuga dalla “Suite 226”.
Purtroppo non ci è dato sapere se il nostro protagonista sia riuscito o meno a tornare a casa, ma sicuramente possiamo dirvi che il quarto full-length dei Serious Black ci ha lasciato piacevolmente convinti e coinvolti, nonostante alcune fasi meno incisive e l’assenza di picchi strumentali degni di questo nome; peccato, anche perché il virtuoso della sei corde Christian Munzner, presente nella band in sede live, avrebbe potuto essere impiegato anche in studio, di modo da rappresentare una micidiale arma in più all’interno del disco.