7.0
- Band: SERJ TANKIAN
- Durata: 00:45:18
- Disponibile dal: 10/07/2012
- Etichetta:
- Warner Bros
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“Imperfect Harmonies” è stato lo shock con cui Serj Tankian ha voluto esternare il suo manifesto, slegarsi dai System Of A Down ed esplorare, almeno superficialmente, altri lidi musicali, in un’esplosione artistica che trasale le semplici note e va ad abbracciare altre forme. Uno sfogo che abbiamo definito ‘gravido fino all’eccesso di poetica e politica’, andando a sfiorare addirittura l’arroganza. “Harakiri” è la sua più logica e prevedibile conseguenza, ovvero un disco studiato per gli estimatori che necessitano di chitarra, basso e batteria, pronti ad accontentarsi di un barlume di ciò che sono stati i System Of A Down. In quest’ottica, il disco supera le aspettative e contiente alcuni dei brani migliori del Tankian solista. L’eccellente “Cornucopia” stende il template per la maggior parte dei brani della raccolta, caratterizzati da tanta melodia, dalla voce pulita e melodica di Serj, da scorribande tra rock e punk, con poche inflessioni in territori heavy. Il cantante è ancora singolare, visionario, unico nel suo stile, giullare estroverso nelle sue visioni sociali, politiche e ambientali, prolifico e poetico all’eccesso. La passione per i propri ideali brucia ancora nelle note delle sue canzoni, insomma (“Harakiri”, “Figure It Out”, “Forget Me Knot”, “Occupied Tears” sono ottimi esempi). Ovviamente, c’è spazio per le stramberie, e lo dimostrano le influenze hip hop di “Ching Chime” e l’elettronica del duetto “Deafening Silence”. Un taglio più conciso del previsto, insomma, che si traduce in una semplicità strutturale che non tralascia urgenza, trasporto ed energia. Unico rimpianto, a parere di chi scrive, è da ricercarsi nella dimensione strumentale: al posto di sorreggere, ispirare, far da contrasto, il tappeto musicale appare quasi castrato in una ovvietà irreale, di una linearità inattesa e a volte addirittura povera. I pochi arpeggi azzeccati non raggiungono l’emancipazione, forse per una recondita paura dell’artista di lasciar spazio ai collaboratori. Il paragone con i SOAD verrà sempre spontaneo: assente Malakian con le sue vocals sgraziate, ma assente anche la genialità dei tre ex compagni, come la pericolosità che si bilanciava perfettamente alle melodie del cantante. Un buon disco in ogni caso, convenzionale, che soddisfa ampiamente tutti gli estimatori e va apertamente in cerca di nuovi fan, confermando lo spessore artistico del personaggio.