6.0
- Band: SEVEN KINGDOMS
- Durata: 00:53:06
- Disponibile dal: 09/10/2012
- Etichetta:
- Nightmare Records
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Gli amanti della letteratura fantasy potranno scovare in questo “The Fire Is Mine” diversi richiami alla fortunatissima saga di G.R.R. Martins, già citata a più riprese dai Blind Guardian. A partire dal monicker Seven Kingdom arrivando al titolo dell’album stesso e passando da titoli quali “King In The North” o “Beyond The Wall” sono davvero molti gli indizi che ce lo fan pensare… Facezie tematiche a parte, “The Fire Is Mine” è appunto il terzo album dei Seven Kingdoms, power band proveniente dalla Florida ma, come spesso succede ultimamente in questo ambito, dedita ad un sound che più europeo di così non si può. Abbandoniamo quindi sin dalla prima canzone le palme e le calde spiagge alla Baywatch che ci eravamo immaginati per spostarci nei dintorni della più fredda Krefeld, patria natale proprio dei quattro bardi già citati in apertura. E’ veramente forte infatti l’influenza dei Blind Guardian sullo spartito dei Nostri, fatto che sicuramente rappresenta croce e delizia di questo disco dall’andamento francamente alterno. Vogliamo però cominciare l’analisi dai punti forti, e quindi partiamo ammettendo subito che dal punto di vista esecutivo e della “presenza sonora” i Seven Kingdoms non hanno molto da invidiare alla formazione di Hunsi Kursh di qualche anno fa: poste le ovvie differenze a livello vocale, visto che i Nostri sono capitanati dalla avvenente Sabrina Valentine e non certo da un emulo di Kursh, soprattutto a livello della base ritmica i risultati sono davvero notevoli. Dotati di un drummer terremotante, sullo stile del primo Stauch per intenderci, e di un bassista singolarmente presente anche a livello di volume, la devastante coppia dipinge un tessuto sonoro di mostruosa compattezza sul quale la dotata cantante ricama con autorità le proprie ficcanti linee vocali, aiutata nel suo lavoro da un sicuramente concreto muro chitarristico. L’altro punto forte della formazione del cosiddetto “stato del sole” risiede proprio nella timbrica calda e grintosa della cantante Valentine, non tanto emula della algida Turunen o della più lirica Simons, quanto influenzata dalla cantante alternative americana Amy Lee degli Evanescence. Finora abbiamo parlato dunque dei punti forti di questa formazione, ma come vi abbiamo anticipato, non mancano purtroppo anche i lati negativi, che influenzano il nostro giudizio al punto di affossarne il voto alla mera sufficienza che vedete in calce. Accennando questi difetti ci stiamo riferendo direttamente alle canzoni e al songwriting, che si rivela sicuramente derivativo (ma un po’ ce l’aspettavamo) ma anche in alcuni casi poco ispirato e coraggioso, in quanto risulta a tratti evidente la volontà di nascondersi dietro facili punti di vantaggio (la bella voce, melodie vocali già usate che hanno dimostrato successo nel corso della decade scorsa, produzione scintillante e cura dei volumi) per nascondere (colpevolmente) un certo imbarazzo a livello compositivo. Con questo non vogliamo dire che le composizioni qui presenti siano da buttare, anzi, power song come l’opener “After The Fall” (ancora una volta ispirata alla cronaca di Martin) ci hanno fatto muovere piedi e testa ad ogni ascolto; però notiamo anche che una volta finito l’ascolto del disco ci è rimasta in corpo soltanto la voglia di ascoltare qualche vecchio disco di Blind Guardian o Iron Savior, scelto trai nostri preferiti. Insomma, ascoltare “The Fire Is Mine” è una scelta che, almeno per noi, avviene perché ci piace il genere suonato, non perché ci piace la band, e questo fa si che ancora i Seven Kingdoms rimangono relegati allo status di una formazione in grado di riproporci i fasti di una certa scena, ma non di scuoterne le fondamenta.