7.0
- Band: SEVEN SPIRES
- Durata: 01:04:04
- Disponibile dal: 21/06/2024
- Etichetta:
- Frontiers
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“Emerald Seas”, pubblicato nel 2020, è stato una bella quanto inaspettata sorpresa. I Seven Spires, infatti, sebbene avessero già dimostrato molte delle loro qualità nel debutto “Solveig”, con il loro secondo disco erano riusciti a trovare un equilibrio invidiabile, capace di far funzionare uno stile che, sulla carta, aveva una probabilità altissima di cadere nel kitsch più assoluto. Non è da tutti, infatti, riuscire ad unire musica sinfonica, power metal, black metal à la Dimmu Borgir, death melodico e folk, senza dar vita ad un guazzabuglio senza senso. La formazione statunitense, invece, ci era riuscita con successo, grazie ad una scrittura di alto livello, che mostrava una preparazione strumentale invidiabile, e soprattutto grazie al talento cristallino di Adrienne Cowan, cantante straordinaria, capace di passare con una naturalezza incredibile dal cantato pulito al growl, risultando sempre ineccepibile e perfettamente calata nel contesto.
Archiviato il terzo disco, “Gods Of Debauchery, composto durante la pandemia, le nostre aspettative sul nuovo “A Fortress Called Home”, erano comprensibilmente molto elevate e, tutto sommato, non siamo stati delusi. Sgombriamo subito il campo da eventuali confronti: questo disco non è sullo stesso livello di “Emerald Seas”, va detto, ma la formula dei Seven Spires risulta ancora molto intrigante. Le coordinate sonore sono a grandi linee rimaste quelle che conosciamo, con la band che spinge ancora di più sul versante death/black, sacrificando in parte la sua componente più spiccatamente power metal.
Ogni singola canzone è una mistura che raccoglie e mette in ebollizione tanti generi diversi e talvolta il risultato finale dà quasi le vertigini, tanti sono i cambi e le mutazioni che si susseguono in ciascun brano. Un chiaro segno di ambizione, che però in qualche occasione finisce per far inciampare la band nel proverbiale passo più lungo della gamba.
Non a caso, le canzoni che funzionano meglio sono proprio quelle in cui questa ipertrofia compositiva viene tenuta sotto controllo. È il caso di “Almosttown” ed “Architect Of Creation”, saggiamente scelti come singoli; “The Old Hurt Of Being Left Behind”, in cui la band ritrova la sua vena melodica migliore; oppure “Emerald Necklace”, dove le fascinazioni celtiche danno quel taglio fiabesco che avevamo già amato nel loro secondo disco. In qualche occasione, invece, i Seven Spires si perdono un po’ per strada, come nel caso “Love’s Souvenir”, una canzone che inizia in maniera soffusa e notturna e che poi esplode in un caos elettrico zeppo di orchestrazioni che sembra davvero fuori luogo rispetto alla prima metà del brano.
“A Fortress Called Home”, pur senza raggiungere la vetta della discografia dei Seven Spires, riesce comunque a convincere, soprattutto se già conoscete e apprezzate la proposta degli statunitensi. Un maggiore lavoro di sintesi (anche nel minutaggio) avrebbe giovato al risultato finale, ma, comunque sia, il bilancio finale resta senza dubbio positivo.