7.5
- Band: SEVENDUST
- Durata: 00:51:25
- Disponibile dal: 06/03/2007
- Etichetta:
- 7 Bros Records
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Tempi duri in casa Sevendust. Oltre al fisiologico calo d’interesse del grande pubblico verso il nu-metal, a metà degli anni 2000 la band di Atlanta si trova orfana dello storico chitarrista Clint Lowery, ansioso di unirsi al fratello nei Dark New Day, e sull’orlo della bancarotta, dopo che la loro etichetta (WineDark Records) non è stata in grado di coprire le spese di “Next”, ultimo album peraltro decisamente poco ispirato. Sarà per l’effetto di questi eventi sfavorevoli, o per il ruolo più rilevante svolto in fase di songrwiting da Sonny Mayo (già chitarrista, giova ricordarlo, dei seminali Snot e dei distruttivi Amen), ma la risposta dei Nostri, nel frattempo messisi in proprio con l’etichetta 7Bros, non si fa attendere, ed è così che nel 2007 vede la luce “Alpha”, ancora oggi considerato uno degli album più pesanti dell’intera discgrafia della quintetto di Atlanta. Gran parte del merito in questo senso va sicuramente al riffing serrato della coppia Connelly / Mayo, mentre il pur sempre eclettico batterista Morgan Rose dà il meglio di sé stavolta dietro al microfono, accompagnando col suo scream fin dall’opener “Deathstar” – titolo chiaramente ispirato alla Morte Nera di Star Wars – un Lajon che non sentivamo così incazzato dai tempi di “Home”. Di bene in meglio con le successiva “Clueless” e “Driven” (scelta come primo singolo), grazie ad un dualismo vocale ancora più marcato, in grado di colorare il muro sonoro eretto dalle due chitarre. L’atmosfera, fin qui marziale e quasi claustrofobica, si fa più liquida e dilatata con “Feed”, grazie anche a un efficace uso del pedale wah-wah, prima di tornare su coordinate prettamente nu-metal con “Suffer”, dove finalmente ritroviamo in primo piano il basso di Vinnie Hornsby. Il secondo singolo “Beg To Differ”, con il suo ritornello elastico come una corda WWE, e la più chiaroscura “Under” chiudono nel migliore dei modi un lato A che, riprendendo la rabbia di “Home” e la melodia di “Seasons”, cancella in meno di mezz’ora gli stenti del precedente “Next”. La seconda metà della tracklist, pur senza vistosi cali di tensione, si muove più o meno sulle stesse coordinate ‘black & white’, variando un po’ una formula altrimenti eccssivamente omogenea con qualche breve parte solista o con un attacco di pianoforte, arrivando addiritura a superare i 9 minuti di durata con “Burn”, esperimento riuscito a metà e fin troppo ‘solare’ rispetto al resto dell’album. Sul finale, ancora ceffoni a mano aperta con la title track e “The Rim”, mentre la conclusiva “Abuse Me” poco o nulla aggiunge a quanto sentito in precedenza, chiudendo in sordina l’opera più lunga dei 7Dust, tornati finalmente ai livelli di forma che più li competono.