8.5
- Band: SEVENDUST
- Durata: 00:55:45
- Disponibile dal: 13/11/2001
- Etichetta:
- TVT Records
Spotify:
Apple Music:
A cavallo del nuovo millennio, sull’onda del successo di Korn e simili, suonare nu-metal per una band equivale a meritare un assegno in bianco dalla major di turno. Nel caso dei Sevendust, dopo il promettente ma ancora un po’ acerbo debutto omonimo, la prima rata d’oro viene incassata con “Home”, il cui successo è bissato nel 2001 da “Animosity”, da cui vengono estratti ben cinque singoli. Fotografia di una band in evoluzione – a metà tra la rabbia del suo predecessore e l’apice melodico del suo successore -, il cosiddetto disco della maturità si colloca ai vertici nella discografia del quintetto di Atlanta, nonchè dell’intera scena nu-metallica, con una serie di pezzi da antologia del genere. Raffinando una formula ormai collaudata – basata in primo luogo sul dualismo vocale tra la calda voce Lajon e quella più nevrotica del batterista Morgan Rose – i 7Dust gonfiano i bicipiti e le corde delle chitarre (“Tits On a Boar”, “Redefine”), mettono a repentaglio l’integrità delle nostre caviglie (“Praise”), donano nuovo calore ai classici stilemi nu-metal (“Trust”, “Crucified”, “Live Again”), flirtano con l’elettronica quel tanto che basta (“Shine”, “Damaged”), giocano la carta del super-ospite (“Follow”, con Aaron Lewis degli Staind), e si permettono perfino un paio di digressioni di stampo acustico (l’intimista “Xmas Day” e la più corale “Angel’s Son”, dedicata allo scomparso singer degli Snot). Insomma, in poco meno di un’ora “Animosity” racchiude, in potenza o in atto, tutte quelle sfaccettature che, nel corso degli anni, hanno accompagnato l’operato delle sette polveri, qui probabilmente al massimo della loro poliedricità compositiva.