8.5
- Band: SEVENDUST
- Durata: 00:48:15
- Disponibile dal: 07/10/2003
- Etichetta:
- TVT Records
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Siamo nel 2003, e l’età dell’oro del nu-metal sembra essere ormai agli sgoccioli, come testimoniato dai prescindibili lavori dei vari Korn / Deftones / Limp Bizkit. Prima che emo e metalcore diano il colpo di grazia a pantaloni oversize e tute ADIDAS, c’è ancora spazio per qualche ingresso last minute negli annali del genere, tra cui figura pieno il quarto album dei Sevendust. Dopo l’acerbo debutto omonimo, il quintetto di Atlanta si è conquistato i favori delle cronache d’Oltreoceano con due lavori di sicuro impatto come “Home” e “Animosity”, ma è con “Seasons” che i Nostri raggiungono l’apice melodico della loro discografia, preludio, non a caso, del loro primo disco acustico. Prodotto da Butch Walker, noto per i suoi trascorsi pop-rock nei Marvelous 3, l’album valorizza appieno lo straordinario talento vocale di Lajon Witherspoon, ancora oggi riconosciuto tra i migliori intrepreti di una scena non certo avara da questo punto di vista, unendola all’impetuosità ritmica/vocale del batterista Morgan Rose, nonché all’inconfondibile trademark chitarristico della coppia Connolly/Lowery. Canzoni come l’opener “Disease”, “Enemy” (che la leggenda vuole dedicata all’allora leader dei Coal Chamber, Dez Fafara, reo di aver maltrattato Rose Rayna, bassista dei CC ma soprattutto neo-signora Rose) e “Broken Down”, giusto per citare le più note, riprendono la formula introdotta nei due precedenti full-length, portando il binomio potenza/melodia ad un livello d’intensità mai raggiunto finora, e difficilmente superato negli anni successivi. Fedele al titolo, “Seasons” porta però con sé sfumature diverse per ogni stagione, ed ecco così che a centro tracklist trovano posto le melanconiche atmosfere di “Honestly” e la ballad acustica “Skeleton Song”, degna erede della più celebre “Angel’s Son”. Dalla malinconia autunnale al primo Sole primaverile, sono sempre le linee vocali del pompatissimo singer a scaldare gli animi nelle più rilassate “Disgrace” e “Burned Out”, prima della consueta alternanza tra temporali ritmici e schiarite melodiche di “Suffocate”, ottimo esempio del tipico 7-Dust sound. Sul finale, c’è ancora spazio per le sorprese, con le atmosfere sudiste di “Gone” contrapposte alle mazzate rap-metal di “Face To Face”, divenuta nel tempo la closing track per antonomasia in sede live; per i più fortunati, in possesso dell’edizione limitata, da citare anche le due bonus-track, ovvero l’ipnotica “Rain” (momento di gloria per il bassista Vinnie Hornsby, per il resto poco presente nel mix) e la rabbiosa “Coward”, anch’essa giocata sul dualismo vocale tra Lajon e Morgan, con quest’ultimo scatenato anche dietro al drumkit. Pur senza raggiungere il disco d’oro come i due predecessori, “Seasons” resta per chi scrive l’apice compositivo del quintetto di Atlanta, in uno stato di grazia melodica fotografato al meglio da “Southside Double-Wide: Acoustic Live”, prima che l’abbandono di Lowery getti la band in un limbo di mediocrità durato qualche anno. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia…