7.5
- Band: SEVENDUST
- Durata: 00:50:20
- Disponibile dal: 28/07/2023
- Etichetta:
- Napalm Records
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Dopo tredici album in studio, una cosa dei Sevendust possiamo dirla con certezza prima ancora di premere il tasto Play: il nuovo disco sarà all’insegna del ‘more of the same’, ma non sarà un brutto lavoro, visto che in quasi tre decenni di onorata carriera il quintetto di Atlanta non è mai sceso sotto una sufficienza abbondante, anche nei momenti più difficili della scorsa decade.
Per la verità, con l’opener “I Might Let The Devil Win” i cinque sembrano volerci convincere del contrario – non tanto sulla qualità, quanto sulla voglia di osare – con un pezzo lento in cui il pianoforte e il crooning quasi pop di Lajon Whiterspoon (da sempre l’anima soul del nu metal) la fanno da padroni con un’atmosfera reznoriana. Si tratta tuttavia di un prologo che già dalla title-track a seguire lascia il posto alla vera natura dei Nostri, fatta di un hard rock roccioso in cui le ritmiche groovy della coppia d’asce Lowery – Connolly s’incastrano alla perfezione con il cantato del già citato frontman, spalleggiato all’occorrenza alle seconde voci dal poliedrico batterista Morgan Rose.
Seguendo la logica al contrario, il singolo spaccaclassifiche (“Fence”, cui spetta la palma di brano più heavy del lotto) trova posto in chiusura; tra i due estremi, in tutti i sensi, non mancano esempi di robusto alternative / nu metal da classifica – “Won’t Stop The Bleeding”, “Everything”, “Sick Mouth“ e “No Revolution”, tutti brani che rimandano ai fasti degli anni d’oro di “Animosity” e “Seasons” – ma anche quando il caratteristico wall of sound viene ingentilito da arrangiamenti elettronici (“Holy Water”, “Leave Hell Behind”) i Nostri non perdono un grammo del loro fascino, permettendoci anzi di gustare ancora meglio le finezze dietro al drumkit di Mr. Rose.
La proverbiale eccezione che conferma la regola è rappresentata da “Superficial Drug” (sorta di outtake dei Linkin Park meno ispirati di “Minutes To Midnight”), e, a voler essere pignoli, anche “Love And Hate” è tirata un po’ per le lunghe.
Nel complesso, comunque, la quattordicesima fatica in studio dei 7Dust, prima sotto l’egida della Napalm Records, si conferma come l’ennesima bottiglia pregiata nella cantina discografica della formazione di Atlanta, le cui vendemmie sono ormai garanzia assoluta di qualità.