7.0
- Band: SHADOWTHRONE
- Durata: 01:01:39
- Disponibile dal: 27/09/2019
- Etichetta:
- Non Serviam Records
- Distributore: Audioglobe
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In Italia si suona ancora symphonic black metal e questa è una buona notizia. Certo, questo sottogenere nel corso dei decenni è stato indagato in tutte le sue possibili evoluzioni ed oramai nel 2019 sentir parlare di black metal sinfonico può annoiare a prescindere.
Non sembra troppo arduo il compito di inquadrare lo stile degli Shadothrone perché il filone è proprio quello di cui sopra. Dopo un primo album rilasciato nel 2017, la band laziale sembra aver raggiunto un certo grado di maturazione: il riffing è composto sia da sfuriate black metal che da ritmiche death (ed in qualche caso death/thrash), il mood e lo stile ricordano forse fin troppo da vicino i Dimmu Borgir del periodo “Puritanical Euphoric Misanthropia”, ma sarebbe errato considerare i nostri come dei semplici cloni di una band che ha comunque pesantemente influenzato un intero sottogenere del black metal. In questo “Elements’ Blackest Legacy”, piuttosto, gli Shadowthrone dimostrano di registrare un album discreto, pur non inventando praticamente nulla, ma mettendoci la giusta cura nei dettagli ed un buon gusto che in musica non guasta mai. E così, se andiamo a vivisezionare la release, si noterà un’ottima produzione ed un’oculata struttura dei brani, ma non solo; il riffing black metal è interessante, molto incisiva è l’alternanza di rasoiate velocissime a parti ritmiche intricate più pesanti che lasciano il campo a rallentamenti supportati da maestose parti orchestrali, in grado di donare alla release un’atmosfera in certi casi tinta d’epicità. A proposito dell’uso delle orchestrazioni possiamo dire che risulta oculato e mai troppo in primo piano. Si può anche notare una ricerca della raffinatezza e teatralità delle parti orchestrali, un po’ ispirata magari agli Arcturus. Bello è l’inizio al fulmicotone di un brano come “Path Of Decay”, esempio della buona qualità del riffing presente su quest’album e stesso discorso vale anche per una song quale “Descent”. “Black Dove Upon My Shoulder” è l’episodio più demoniaco dell’intero CD e più black metal nel senso stretto del termine, e forse i Nostri in futuro dovrebbero spingere verso questa direzione artistica. La band pecca un po’ di inesperienza, invece, proponendo un album con un minutaggio impegnativo (per l’ascoltatore): in questo come in altri innumerevoli casi, eliminando i due o tre brani più ‘deboli’ l’intera release ne avrebbe giovato. Ma la band per questo ed altri aspetti ha bisogno di maturare, basta concedergli il giusto tempo e sicuramente un artista navigato come Steph (a suo tempo chitarrista dei Theatres Des Vampires) saprà condurre il gruppo verso la definitiva maturità artistica. La suggestiva cover ed il fatto di aver firmato per una buona label underground come la Non Serviam sono altri elementi utili alla costruzione di un trono d’ombra di tutto rispetto.