7.5
- Band: SHARPTOOTH
- Durata: 00:29:48
- Disponibile dal: 09/07/2020
- Etichetta:
- Pure Noise Records
Spotify:
Apple Music:
Voci femminili carismatiche ed irruente, ben supportate da un corredo sonoro altrettanto vigoroso, livido e deviato, si moltiplicano nell’underground internazionale: nell’emisfero hardcore si sta prendendo una piega sempre più interessante, nei numeri e nella varietà delle proposte. Gli Sharptooth, qui al secondo album, sembrano già bell’è che pronti per sfidare ad armi pari formazioni più esperte e realtà ‘core’ al femminile già affermate. L’indicazione chiara e netta della presenza di female vocals non la facciamo tanto per chiudere in un recinto certi gruppi e separarli dagli altri, val la pena precisarlo: indichiamo in primis tale aspetto per la sua forte caratterizzazione e una speciale – terribile – tipologia di rabbia che trascinano con sé. La band del Maryland si era già ben comportata nell’esordio “Clever Girl” di tre anni fa, iniettando la propria furia adrenalinica in un hardcore abbastanza basilare e old-school, innalzato di livello dagli screziati vocalizzi dell’indomita Lauren Kashan e da alleggerimenti melodici assai indovinati.
Nel 2020, è tempo invece di indurire la proposta, spezzarla in andamenti nervosi e ambivalenti, appesantire le ritmiche e dare adeguato spazio alle proprie fragilità. Innalzare allo stesso tempo la carica devastatrice e l’intimismo non è cosa da poco, a maggior ragione se si cerca di stare all’interno di durate contenute e strutture urgenti e dai pochi fronzoli. Agli Sharptooth la missione riesce compiutamente, architettando una tracklist che non lascia nulla al caso, non lesinando in attacchi mortiferi, mosh-time adrenalinici, breakdown asfissianti e parentesi toccanti, quasi da togliere il fiato, visto il contesto in cui si inseriscono. La parte del leone la fanno in ogni caso fucilate di un metalcore moderno ed intelligente, dove le chitarre non si limitano alla mattanza ma navigano in armonie tese e ingannevoli, in congiunzione a una batteria versatile e propensa a tempistiche tambureggianti e stacchi imprevisti. La Kashan polarizza le attenzioni, inutile negarlo, azzeccando tempi di intervento, metrica e modulazione delle urla, fattesi atrocemente più funeste dall’esordio a questo “Transitional Forms”.
I momenti di maggior pregio sono quelli in cui si passa al livello successivo, svestendo in parte gli abiti della ‘metalcore band’ per tramutarsi in un’entità più misteriosa e profonda, come accade in quel sospirante macigno di “Life On The Razor’s Edge”, introdotta da una sottile melodia di sapore gotico, quindi sbriciolata da un midtempo di pesantezza inaudita. E come non citare “The Gray” e i suoi esili interventi in voce pulita, ulteriormente ingentiliti da delicati arpeggiati. Per finire con la track di chiusura, “Nevertheless (She Persisted)”, dotata di un crescendo luminoso inaspettato e pertanto ancora più gradito. Anche quando i toni sono spicci e relativamente leggeri, come nella punkeggiante prima parte di “153”, gli Sharptooth non suonano affatto generici e scialbi, riuscendo ad essere squassanti pur in assenza di soluzioni molto ricercate. Al di là dei singoli episodi, è la continuità d’azione, l’assenza di quiete e lo snodarsi fratturato di tutte le tracce, mai avare di stacchi spiazzanti né di dolorosi spigoli, a convincere e a farci porre gli Sharptooth nel manipolo dei giovani ensemble da tenere sotto stretta osservazione.