7.0
- Band: SHE SAID DESTROY
- Durata: 00:45:19
- Disponibile dal: 10/04/2006
- Etichetta:
- Candlelight
- Distributore: Audioglobe
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La tradizione norvegese in campo death metal è praticamente pari a zero, soprattutto se parliamo di death metal inteso in quanto tale, floridiano, svedese, tecnico o brutal che sia. Dalle brusche insenature dei fiordi, è sempre giunto a noi mischiato principalmente al black, all’avantgarde, anche al thrash a volte, ma rarissimamente un disco pienamente death metal proveniente dalla Norvegia è stato avvistato da queste parti. I She Said Destroy, finalmente, cercano di colmare questa grave lacuna, pubblicando il loro bell’esordio, “Time Like Vines”. Due cose saltano all’occhio subito, riguardanti la band di Oslo, e non sono mica tanto positive: la cover dell’album è davvero anonima e certamente non invoglia un possibile acquirente a prelevare il prodotto dallo scaffale; il monicker è decisamente fuorviante, in quanto, di primo acchito, avremmo scommesso sulla nostra povera nonna che i She Said Destroy proponessero uno screamo-core modello “la mia tipa mi ha mollato, ora la squarto viva e poi piango disperato”. Ebbene, cercate di andare oltre queste pallide premesse! Anders, Snorre, Eystein e Torris suonano un techno-death molto articolato, pulito – nel senso che nel platter ci sono arrangiamenti basilari e pochissimi effetti non suonati – e aggressivo, non disdegnante però attimi di sottile placidità e relax, nei quali arpeggi delicati spezzano la tensione e donano al combo una sfumatura decadente molto piacevole. Per il resto, siamo di fronte ad una buona serie di brani ricchi di cambi di tempo, divisi tra un riffing tecnico-melodico, sezioni psichedeliche, vicine al noise-rock più ipnotico, e assalti tout-court di melodic black. I due chitarristi – Anders e Snorre – si occupano anche delle parti vocali, classicamente impostate su growl death e screaming black, alle quali vanno ad aggiungersi brevi momenti di recitato, per una somma di soluzioni abbastanza interessante e riuscita. “Swallow My Tongue”, “Time Like Vines”, “Shapeshifter” e “Beyond The Borders Of Our Minds”, quest’ultima preceduta dalla strumentale acustica “I Sense A Tempest Arising”, sono i pezzi più apprezzabili, ma tutta la tracklist è ben strutturata, pesante, groovy, veloce e lancinante dove e quando serve. Solo “Joy To The World: The Coming Of Kali” ed in parte “Der Untergeher” lambiscono la noia, ma è proprio un sentimento passeggero. Non stiamo neanche a dirvi che i numi ispiratori dei She Said Destroy sono i Death e il trittico Cynic-Atheist-Watchtower perché è fin troppo ovvio; ci teniamo invece a sottolineare che, pur inventando un pugno di mosche, il combo norvegese si piazza con merito fra gli egregi esecutori nell’ambito del genere. Bel disco!