6.0
- Band: SHE WAS NOTHING
- Durata: 00:47:50
- Disponibile dal: 01/03/2017
- Etichetta:
- Myo Agency
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Dietro questo monicker dal velato sapore emo si cela un ensemble meneghino non nuovo sulle nostre pagine, anche se di tempo ne è passato parecchio. I ragazzi ci colpivano nell’ormai lontano 2011 con il proprio debutto “Dancing Through Shadows”, lavoro caratterizzato da una commistione zarrissima e spassosissima di trance e metallo simil-pesante, rivelandosi come una delle band esordienti di casa nostra più promettenti di quell’annata. Dopo il buon riscontro di critica ottenuto, la strada non si è però rivelata in discesa per la band la quale, dopo una buona attività live sul territorio nazionale in supporto di band quali i desaparecidos Helia, i principi del Warped Tour Upon This Dawning e i Mellowtoy, si è trovata orfana di due membri, il chitarrista Luca ed il tastierista Alessandro, che verranno sostituiti poco tempo dopo dai nuovi Gabriele e Leonardo. Gli She Was Nothing hanno così colto l’occasione per dare una vigorosa sterzata alla loro proposta musicale, andando a perdere completamente le influenze metal in funzione di una maggiore preponderanza della dimensione electro, cercando in qualche modo di avvicinarsi al suono di gruppi che hanno fatto della sperimentazione tra rock e electro la loro fortuna, quali Pendulum o Enter Shikari. E da qui che, con ogni probabilità, prende spunto il titolo “Reboot”, quasi a voler segnare una decisa rottura col passato. L’unico problema è che i Nostri non hanno né (o perlomeno non ancora) la capacità leggendaria del supergruppo anglo-australiano di riempire il dancefloor a colpi di drop irresistibili, né l’ottima e versatile ugola del leader indiscusso Rob Swire, e queste, credeteci, sono due qualità decisamente imprenscindibili. Se le abilità vocali del buon Claudio potevano andare bene per il primo lavoro, ingrezzito dalla sufficientemente marcata componente metal, in questo caso in cui abbiamo quasi esclusivamente pezzi lucidati e patinati, anche se comunque energici, il nostro pecca sensibilmente di mordente e potenza vocale, risultando molto poco convincente e quasi amatoriale, salvo in qualche pezzo. Il che ci rattrista molto dato che gli arrangiamenti sono professionali, curati e abbastanza inspirati per ambire a ben altri risultati. Tracce quali il singolo “Man Vs. Beast”, con quel suo hype drum ‘n bass coinvolgente, la quasi darkwave “Can’t Stop These Things” o la dubstep romance di “Digging Under Your Skin” sono tutte davvero interessanti e piacevoli, ma purtroppo il resto del platter non rispecchia gli stessi standard qualitativi a causa delle ragioni precedentemente esposte. Siamo sicuri che in sede live la situazione sarà diversa, conoscendo la passione per la band milanese per gli spettacoli dal vivo, ma purtroppo noi ci troviamo in questa sede per dare un giudizio sul lavoro su disco, ed onestamente così non andiamo molto lontano. In futuro, una cura vitaminica per il comparto vocale è decisamente d’uopo.