7.5
- Band: SHINING (NOR)
- Durata: 00:38:05
- Disponibile dal: 23/10/2015
- Etichetta:
- Spinefarm
- Distributore: Universal
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L’atterraggio sul pianeta dei gruppi guida della scena heavy metal contemporanea è stato completato con successo dai norvegesi Shining, il blackjazz è ora una scuola di pensiero nota e arcinota, uno stile di vita, una follia divenuta norma. Jørgen Munkeby, di fatto gli Shining in persona, l’uomo dietro questa concezione iconoclasta delle regole musicali, ha oramai guadagnato un posto di rilievo fra gli audaci sperimentatori degli Anni 2000. Il matrimonio impossibile fra free jazz e black metal, perturbato da elettronica, noise, industrial, non è rimasto confinato in un angolino negletto per ascoltatori depravati e svalvolati, tutt’altro. Ha superato ritrosie, pregiudizi, perplessità, sfasciando regole ataviche e ricorrendo ad arrangiamenti deliranti e selvagge mescolanze per deflagrare con insperato successo nell’ecosistema metal contemporaneo. La rivoluzione sotto forma di elettroshock di “Blackjazz” è stata consolidata da “One One One”, attraverso un processo di sottrazione che ha portato a una forma canzone leggermente più convenzionale, concessioni alla linearità prima solo abbozzate lasciate erompere in groove quasi ballabili, beat martellanti e vocalizzi che, per quanto filtrati, divelti, scrostati di una buona fetta della loro umanità, potevano essere ricondotti a linee melodiche in parte cantabili. Il processo di controllo e razionalizzazione delle schizofrenie indicibili dei primi tempi sotto le nuove sembianze di metal band, metamorfosi compiuta appieno appunto con “Blackjazz” nel 2010, dopo che già in “In The Kingdom Of Kitsch You Will Be A Monster” e “Gridstone” vi erano stati i prodromi di quanto sarebbe accaduto di lì a poco, ha condotto oggi al disco più facile di questi preparatissimi musicisti. Una facilità (molto relativa) da ricercare intanto in un suono meno cruento, dove i disturbi reciproci fra elettronica, chitarra e sax, che tanto contribuivano a delineare l’atmosfera malata e psicotica dei due predecessori, sono stati esponenzialmente ridotti, proprio per dar modo di apprezzare con più calma la musica. I singoli episodi vivono di minori tensioni, non c’è l’urgenza di far esplodere bombe atomiche dappertutto, creare il caos sempre e comunque: il ricorso a ritornelli e ritmi memorizzabili si è acuito, le harsh vocals di Munkeby sono divenute più digeribili e il ventaglio espressivo è stato ulteriormente implementato rispetto a “One One One”. Non temano in ogni caso i fan di lungo corso, perché gli Shining si saranno anche aperti al mondo e punteranno con la nuova release a farsi apprezzare anche da chi li aveva giudicati finora troppo ostici, ma non si sono certo snaturati. Il saltabeccare del sax attraverso gli elettroni impazziti di chitarra e sintetizzatori è sempre lì a ricordarci l’unicità di Munkeby, il suo istrionismo irrequieto, la capacità di accartocciare i suoni, farli macerare in qualche composto chimico di sua invenzione e poi restituirli all’ascoltatore sotto nuove spoglie. Si fiancheggia il rumore con maggiore tatto, gli attacchi funambolici di una “The Madness And The Damage Done” sono spesso sostituiti da ritmiche dirette, che in molti punti fanno pensare a una reincarnazione dei Nine Inch Nails più acidi. La vera sorpresa di “International Blackjazz Society” è rappresentata da “House Of Control”, una semi-ballad (avete capito bene) attirata nel raggio d’azione del terrorismo industriale, centellinante stacchi epilettici tipicamente Shining in mezzo a chitarre meno nevrotiche del consueto e con Munkeby impegnato a cantare in pulito per la quasi totalità del pezzo. Al primo impatto, penserete che sia una cover, ma non è così. Le restanti tracce propongono un compendio smussato nei toni di quello che già conoscevamo dei norvegesi: il livello delle composizioni, dato il sapiente bilanciamento di angosciante clima futurista, violenza allo stato brado e spunti ritmico/melodici estremamente catchy, rimane alto, vicino a quanto apprezzato con “One One One”, anche se incapace di eguagliare i fasti del capolavoro “Blackjazz”. All’interno della tracklist, spicca la traccia più degenerata e aggrovigliata, “Thousand Eyes”: toni marziali, blast-beat, sintetizzatori fuori controllo, un senso di innaturale disfacimento, accompagnato da una formidabile rinascita nel segno di un polimorfismo terrorizzante e irresistibile. Tossico splendore ad alto voltaggio. La società internazionale del blackjazz è in espansione, si prega cortesemente di tesserarsi con estrema urgenza se si vuole goderne i dividendi. Ovvero questa musica così masochistica e sfrenata che Munkeby ci propone a intervalli regolari.