7.5
- Band: SHIRAZ LANE
- Durata: 00:48:32
- Disponibile dal: 23/02/2018
- Etichetta:
- Frontiers
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Quale miglior occasione del periodo intorno a carnevale per parlare di un album dall’inerente titolo di “Carnival Days”? Si tratta della seconda fatica in studio dei giovani rocker finlandesi Shiraz Lane, autori di quel gradevole debutto chiamato “For Crying Out Loud”, che permise a questi cinque giovanotti di ottenere un posto in quell’insieme relativamente vasto di giovani proposte hard rock provenienti dal Nord Europa, al fianco di gente più affermata come Eclipse, Crashdiet, H.e.a.t. e quant’altro. Le somiglianze con il primo album, così come con le proposte di alcuni loro colleghi, ci sono e sono evidenti, e così anche la qualità che si può percepire negli undici brani che compongono la tracklist, caratterizzati come di consueto da numerose influenze vocali e strumentali che vanno dallo sleaze fino al rock/blues più classico, con in più la peculiare spruzzata pop che in alcuni passaggi rimanda addirittura a gente come Michael Jackson. L’album per l’appunto si apre con una titletrack dal retrogusto blues, che fornisce un ottimo inizio anche se alcuni ascoltatori avrebbero probabilmente preferito qualcosa di più adrenalinico, ma è una questione soggettiva e in generale le prime tracce del disco risultano molto godibili, in particolar modo la grintosa “Harder to Breathe”, che alterna un refrain cantabile e melodico con un main riff furioso, una struttura ritmica rocciosa e un assolo durante il quale si può tranquillamente fare headbanging mentre si fa finta di impugnare una chitarra. La successiva “Tidal Wave” ricorda particolarmente alcuni brani degli svedesi Eclipse, e come molti di questi ultimi ci stimola la voglia di saltare e cantare, mentre invece “Gotta Be Real” potrebbe suonare molto bene come colonna sonora di un momento romantico in un film d’azione per ragazzi, ruolo per il quale non vedremmo male nemmeno la cadenzata e dall’inizio lento “Shangri-La”. La penultima “Hope” svolge un po’ il ruolo di ballad dell’album, pur non trattandosi propriamente del tipico esempio di brano semplicemente lento e riflessivo, essendo comunque condita da elementi hard rock evidenti che la rendono comunque piuttosto tagliente. Anche la lunga e conclusiva “Reincarnation” più o meno rispecchia questo concetto, e si presenta infatti come un brano dall’incedere piuttosto lento e quasi malinconico, seppur arricchito da un paio di momenti decisamente arrabbiati che ne spezzano la monotonia. L’elemento di spicco dell’intera opera è sicuramente la voce squillante di Hannes Kett, che ci ricorda una versione meno graffiante di quella del buon Sebastian Bach, anche se in alcuni momenti avremmo preferito sentirgli cantare delle note un po’ più basse, evitando così di coprire forse un po’ troppo gli altri elementi della band. In generale parliamo davvero di un buon lavoro, anche se tende forse a mancare un po’ di una identità propria all’interno di un panorama che ultimamente sta offrendo davvero molti potenziali ascolti agli appassionati del genere, e forse è proprio questo il limite degli Shiraz Lane: la somiglianza forse un po’ eccessiva con svariate altri colleghi attualmente più in vista. Tuttavia si tratta di un discorso che si potrebbe applicare per un gran numero di band e quindi, se non siete in grado di soprassedere su questo dettaglio, potete tranquillamente togliere mezzo punto al voto, ma noi preferiamo premiare la qualità dove oggettivamente presente.