7.5
- Band: SHORES OF NULL
- Durata: 00:50:43
- Disponibile dal: 14/04/2017
- Etichetta:
- Candlelight
- Distributore: Audioglobe
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Esattamente (o perlomeno quasi) tre anni fa, gli Shores Of Null esordirono come tripudio di fulmini a ciel sereno con il debut-album “Quiescence”, lavoro incensato positivamente ovunque, Top Album su queste pagine e baciato da un buon successo commerciale. Lecito, quindi, attendere la nuova opera loro targata con una certa spasmodica trepidazione e con una più che discreta voglia di ascoltare loro nuove composizioni. Eccoci dunque al cospetto di “Black Drapes For Tomorrow”, ancora fuori per Candlelight Records e con tutti i crismi per bissare le ottime impressioni suscitate nel 2014 con la prima opera. Come facilmente immaginabile, il nuovo album è curatissimo nei ‘dettagli’, artwork e produzione in primis, ed è formalmente inattaccabile: se apprezzate le sonorità che spaziano dal death metal melodico al blackened death, dal gothic vecchia scuola al doom, c’è poco da criticare e tirare in ballo cose che non esistono. Gli Shores Of Null trattano la materia come veri maestri del genere, punto. Entrando nel dettaglio, invece, delle canzoni composte per questo comeback discografico, dobbiamo ammettere che “Black Drapes For Tomorrow” risulta inferiore a “Quiescence”. O meglio, specifichiamo: essendo parecchio diverso, pur senza mai uscire dalle coordinate dei loro generi di riferimento, ci ha colpito di meno nell’immediato e quindi ci risulta inferiore. Non solo a causa dello svanito effetto-sorpresa e, forse, di alte aspettative: le scelte compositive della band inevitabilmente portano a considerare il nuovo platter meno fruibile e meno subitamente convincente di “Quiescence”, più complesso e strutturato, più bisognoso di ascolti per essere assimilato per bene. Ecco, qui dentro, per intenderci in fretta, non troverete pezzi à la “Ruins Alive” o à la “Kings Of Null”, che entrano in testa al primo passaggio del ritornello senza abbandonare mai più. E’ stato fatto un lavoro incredibile sull’arrangiamento delle voci, su “Black Drapes For Tomorrow” ancora più imponente e preponderante che in passato, per cui sia la varietà di timbri usati da Davide Straccione, che in studio si occupa della registrazione di tutte le vocals, sia le melodie adoprate vanno a complicare la fruizione, da rendere più attenta, profonda e concentrata in modo da far emergere il certosino cesellare delle trame. Sono state in parte rivoluzionate le strutture portanti dei brani, meno prevedibili e meno fedeli alla più classica forma-canzone. Siamo poi di fronte ad un album meno groovy del precedente, nel quale si scorgeva bene del death melodico epico (Amon Amarth, Amorphis) oggi un po’ accantonato per dare spazio a brani giocati su atmosfere gloomy e decadenti, concentrati perlopiù nella prima metà, e più orientati verso Paradise Lost e Katatonia, per citare due nomi noti a tutti; a dispetto di una sezione finale in cui sonorità più massicce e aggressive rifanno prepotentemente capolino. Scritto ciò, ci teniamo a precisare che non si tratta di un disco dei Cephalic Carnage, per cui la fruibilità globale è oltre la media, essendo il lavoro, soprattutto quando giunti oltre il decimo ascolto, pregno di pezzi ricchi di epos enfatica e magniloquente, hook sognanti e commoventi, ficcanti riff in tremolo picking e, non ultime, sporadiche ma ottime sfuriate in blastbeat. Il segreto dei Nostri, comunque, e ne siamo fermamente convinti, sta nell’utilizzo dell’ampio parco vocale in dotazione, punto di forza che può fare veramente una grossa differenza qualitativa: growl profondo, scream evocativo, un pulito toccante, a sua volta spaziante su vari registri, e, novità odierna, un pulito più urlato e arrabbiato che si abbina benissimo, un po’ a sorpresa, con le partiture Shores. Se dobbiamo proprio citare qualche canzone cui assegnare un plauso speciale, allora sicuramente tiriamo in ballo “Tide Against Us”, nella quale compare l’ospite di lusso Carmelo Orlando, la seguente “House Of Cries”, la più vigorosa “The Kolyma Route” (ottimo esempio dell’uso variopinto delle voci di cui fa utilizzo la band) e “A Thousand Storms”. Rientro sulle scene meno folgorante, quindi, rispetto all’esordio assoluto, ma i nostri portabandiera non perdono un’oncia di valore intrinseco e di prospettiva e, soprattutto, sono forti di un lavoro che può solo crescere con il tempo ed essere valorizzato in termini di maturità compositiva e consapevolezza dei propri mezzi. Da avere.