4.5
- Band: SIGNS OF THE SWARM
- Durata: 00:42:06
- Disponibile dal: 28/07/2023
- Etichetta:
- Century Media Records
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Che la Century Media voglia assumere il ruolo di baluardo dell’inaspettato revival death-core è cosa ormai assodata, con un ruolino di marcia serratissimo dedicato questo tipo di pubblicazioni. Oltre ad essere diventata testimonial del fenomeno Lorna Shore ed essersi riaccaparrata i pionieri Suicide Silence, lanciati all’epoca di “The Cleansing”, l’etichetta tedesca ha infatti rilasciato (nell’ordine) Distant, Ov Sulfur, Mental Cruelty e – a distanza di poco più di un mese da questi ultimi – Signs of the Swarm, secondo una politica aziendale volta chiaramente a massimizzare, spremendolo fino all’inverosimile, l’hype del momento. Questa la cornice che racchiude il quinto album della band di Pittsburgh e che, in maniera fin troppo prevedibile, ne plasma il contenuto per renderlo il più possibile simile ai gusti delle nuove orde di fan su Spotify e sulle varie piattaforme social, secondo una parabola agghiacciante soltanto in parte intuibile leggendo il titolo dell’opera.
Intendiamoci, gli americani non sono mai stati dei mostri di scrittura e personalità, ma nel periodo trascorso sotto Unique Leader erano comunque riusciti a dimostrare una certa crescita, arrivando a piazzare con “Absolvere” del 2021 un buon colpo per gli estimatori dei Whitechapel più freddi e ‘robotici’; evidentemente però i molteplici cambi di line-up – uniti alla scarsa lungimiranza del quartetto e all’influsso di una coppia di produttori come Josh Schroeder (In Hearts Wake, King 810, Lorna Shore) e Joshua Travis (Emmure) – hanno minato alle fondamenta un disco che, sotto una patina di presunta pesantezza, cela a stento un animo vuoto, di plastica, lontano da qualsivoglia forma di dinamica e/o di buon gusto.
Brani che non sono altro che un assemblaggio disorganico di parti artificiose e percussive, con le chitarre a produrre ‘BOOOM BOOOM’ su una batteria triggerata fino al punto da sembrare una telescrivente, e che – più che procedere fluidamente in una direzione – si succedono a casaccio incitate dalla prova tanto esagerata quanto stucchevole di David Simonich al microfono. Inoltre, nel press kit vengono citati Meshuggah e Fear Factory, forse nel tentativo di nobilitare le atmosfere asettiche e i suoni digitali della tracklist, ma più che i suddetti nomi qui vengono in mente solo i peggio esponenti del filone djent, o una versione più caotica e sfilacciata dei Code Orange di “Underneath”.
Musica che, alle nostre orecchie, suona davvero come l’antitesi di tutto ciò che dovrebbe essere metal estremo, e non certo per partito preso contro quello che è (e resta) un movimento seguitissimo e di successo. Ogni genere, a partire dal death-core, può essere infatti interpretato in maniera avvincente e ingegnosa; il problema è che “Amongst the Low & Empty”, a tutto questo, preferisce un approccio ottuso e privo di vitalità che suscita solo imbarazzo. Che fine hanno fatto i riff e il concetto stesso di songwriting? Perché dedicare tre quarti d’ora del proprio tempo a questo ammasso di breakdown insensati e soluzioni asfittiche? Inutile dire quanto sia meglio passare oltre, affidandosi ai senatori (Despised Icon, i già menzionati Whitechapel, ecc.) o a coetanei di tutt’altra pasta come Fit for an Autopsy e Justice for the Damned.