8.5
- Band: SINISTER
- Durata: 00:39:47
- Disponibile dal: 07/07/1995
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
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1995. L’anno di “Symbolic”, di “Pierced From Within”, di “Slaughter of the Soul”. Per alcuni, tuttavia, il 1995 è anche l’anno di “Hate” dei Sinister. La formazione olandese non sempre è stata annoverata tra i veri fuoriclasse del panorama death metal, ma è altrettanto vero che i più accaniti sostenitori della scena europea di rado perdono occasione di ricordare fervidamente i suoi esordi e i lavori pubblicati nella prima parte degli anni Novanta. Almeno in quel periodo, i Sinister erano a tutti gli effetti una realtà solidissima, capace anche di offuscare le prove di gruppi ben più celebrati, tanto dal vivo quanto in studio. “Hate” è sicuramente il disco più noto della band, culmine di un crescendo di popolarità innescato dal feroce debut “Cross The Styx” (1992) e consolidato dal più rifinito “Diabolical Summoning” (1993). Si tratta del primo album dei Nostri con Bart van Wallenberg alla chitarra (in precedenza al basso), che qui si fa anche carico di prendere totalmente le redini del songwriting. Se con i precedenti lavori i ragazzi avevano offerto una loro interpretazione di sonorità di matrice statunitense – non sempre riuscendo a nascondere le influenze di Morbid Angel, Deicide e Possessed, ma compensando con tanta ispirazione e genuino entusiasmo – con “Hate” il gruppo compie un importante salto di qualità, elevando all’ennesima potenza tutti i suoi punti di forza e mettendo in luce un’eleganza sin qui inedita. Di certo gli olandesi non hanno voluto rompere con le sonorità con cui si sono fatti segnalare qualche anno prima; piuttosto, hanno cercato di rendere il proprio stile più personale ed elaborato, lavorando di cesello su strutture e sfumature del riffing di chitarra, sfoderando a tratti velleità quasi epiche o orchestrali, per colorare ulteriormente l’esperienza che traspare dall’ascolto. Visto anche il carattere occulto del concept alla base dei testi e dell’artwork, l’atmosfera regna sovrana; già nella famigerata opener “Awaiting the Absu”, si rimane stupiti dal sovrapporsi degli strati sonori: basta un minuto per capire che i ragazzi sono all’apice della loro creatività e che non hanno mai avuto le idee così chiare sul loro sound. Mentre la batteria si evolve da pattern lineari ad un vero e proprio tripudio di soluzioni (dal blast-beat al down-tempo più enigmatico), il pezzo si sviluppa con maestosità, guidato da un basso implacabile e da una chitarra che regala continuamente spunti di una grande profondità emotiva. Bart van Wallenberg non si inventa nulla di incredibilmente tecnico, tuttavia riesce a colpire immediatamente con il suo particolare stile: i riff si muovono in più direzioni, ora calcando la mano sulla pesantezza, ora presentando dei curiosi avvitamenti che ben presto diventeranno i veri trademark di brani come “Embodiment of Chaos” o la succitata opener. Le strutture sono talmente ricche che a volte viene difficile pensare che nella band a questo punto della carriera vi siano solo tre giovani elementi. Dopo aver soprattutto puntato sulla sostanza nelle loro prime opere, con “Hate” i Sinister riescono a risultare originali e ad apportare un loro personale tocco a un genere molto codificato grazie a continui mutamenti di ritmi e tonalità nei pezzi, con trame che letteralmente esplodono e si ricompongono in nuove forme ipnotizzanti. Un’ottima prova di composizione e arrangiamento che funge da base perfetta per l’altrettanto ragguardevole performance al microfono di Mike van Mastrigt, il cui growling intelligibile risulta a dir poco memorabile sui chorus e i midtempo di tracce come “Art of the Damned” e “To Mega Therion”. Appare quindi pressochè superfluo sottolineare come, a vent’anni di distanza dalla sua uscita, “Hate” risulti ancora l’album più ambizioso e riuscito dell’intera discografia dei Sinister: un lavoro ricco di spunti clamorosi inseriti in uno sviluppo perfettamente coerente e calibrato, un vero manifesto di perseveranza e audacia underground.