5.5
- Band: SKALMOLD
- Durata: 00:48:42
- Disponibile dal: 30/09/2016
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Gli Skálmöld sono figli del boom – artistico e commerciale – che il viking e più in generale il pagan/folk metal hanno avuto ormai quasi una decina di anni fa, che ha portato alla ribalta del grande pubblico realtà lontane e sonorità diverse e dai forti tratti etnici, anche molto interessanti (tra gli altri, i russi Arkona e i lettoni Skyforger). Esistono nel genere due grandi filoni, uno più legato al black metal – sia come sonorità che come attitudine – ed uno più goliardico e bonaccione, che ha finito per riscuotere un grande successo di pubblico (un po’ meno di critica). Gli islandesi appartengono senza dubbio alla seconda categoria, e con questo “Vögguvísur Yggdrasils” non propongono innovazioni nel loro sound, o nella forma-canzone, che resta legata alla dicotomia brani anthemici/midtempo cadenzati. Il disco si apre con “Múspell”, in cui a farla da padrone sono riff stoppati e ritmiche sostenute; la principale pecca emerge subito – e non potrebbe essere altrimenti – dato che stiamo parlando del cantato: Jón Geir Jóhannsson è autore principalmente di un growl monocorde, che mal si adatta alle linee melodiche create dagli strumenti e anzi fa apprezzare particolarmente le occasioni in cui viene sostituito da cori melodici. Questo non è l’unico problema del lavoro – anche se si tratta certamente del più evidente. Il secondo grande limite sono infatti le canzoni stesse, spesso scialbe e prive di mordente oltre che di quelle sfumature che dovrebbero caratterizzare il genere, tanto che, se non fosse per la sagoma del guerriero in copertina e gli sporadici cori potremmo tranquillamente avere per le mani un normalissimo gruppo che mescola power, heavy classico e thrash. Alcuni episodi riescono ad ergersi al di sopra di questa mediocrità risultando piacevoli, ma sono davvero pochi: “Niðavellir”, che riesce (finalmente) a ricreare atmosfere nordiche e fiabesche e la seguente “Miðgarður”. Il brano di chiusura, “Vanaheimur”, mette in evidenza le backing vocals in scream – sgraziato e sfiatato – che altrove appaiono in maniera sporadica, e che contrastano fortemente con i pregevoli inserimenti di voce pulita. Giunti al termine di queste nove tracce è difficile non rimanere con l’amaro in bocca di fronte ad un lavoro poco ispirato, con un songwriting a tratti confuso e alcuni evidenti limiti tecnici. Inoltre manca quasi del tutto l’atmosfera, sia essa da taverna rumorosa, campo di battaglia insanguinato o bosco pieno di folletti (di invocare gli antichi dei neanche a parlarne). Passate oltre.