8.0
- Band: SKEPTICISM
- Durata: 00:48:11
- Disponibile dal: 24/09/2021
- Etichetta:
- Svart Records
- Distributore: Audioglobe
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Inesorabili come la marea più livida, immoti come le pendici delle montagne, gli Skepticism arrivano al traguardo dei trent’anni di attività all’insegna del doom più funereo e solenne con un album in grado di dipingere la strada percorsa con un tratto diventato inconfondibile, magistrale. “Companion” arriva a sei anni di distanza dal più ‘sperimentale’ “Ordeal” (suonato in presa diretta dal vivo), ma restituisce una band mirabilmente tetragona e per nulla affaticata dal passare degli anni, perfettamente in grado di mantenere standard già altissimi dal primo, seminale “Stormcrowfleet” in poi.
Non cambiano le coordinate cui i finlandesi ci hanno abituati nel corso della loro lunga carriera: sei canzoni, quarantotto minuti scarsi di suoni dilatati, voci gutturali, batteria ipogea e organo solenne, mai semplice intermezzo o riempitivo ma parte della struttura cardine dei brani, tra cui l’accorata e struggente “The March Of The Four”. È proprio il motivo delle canne dell’organo, suggerito fin dalla minimale immagine di copertina, ad accompagnarci in un viaggio che è insieme celebrazione di ciascun passo camminato e nuovo orizzonte cui guardare; pur suonando un doom maestoso e solenne, gli Skepticism non indulgono in chissà quali rifiniture barocche, lasciando che siano piuttosto le note grevi e dolenti a suggestionare l’ascoltatore, ancora una volta con una classe e una maestria che hanno davvero pochi uguali e nessun simile. Non c’è la psichedelia collosa e allucinante degli Esoteric, non c’è il peso del dolore eterno di Shape Of Despair o Evoken, quanto piuttosto un epos eroico, venato di inguaribile e lancinante nostalgia, che forse troviamo in parte nell’operato (storico anch’esso) dei conterranei Thergothon o dei Pantheist (comunque istituzioni del genere). Eppure gli Skepticism sono qualcosa d’altro ancora, più simili alla sacralità spirituale raccolta del pulviscolo in controluce che abbellisce le navate di una cattedrale: un momento bellissimo, quasi sospeso nel tempo, da assaporare con calma e con la giusta dose di raccoglimento.
L’iniziale “Calla” ha il compito, con il proprio refrain maestoso, slanciato e ieratico (come il fiore di cui porta il nome) di introdurre il nuovo lavoro col proprio andamento modulato sul tocco aggraziato delle tastiere, colpendo dritta allo sterno con la forza di un macigno. Che siano le corde di chitarra pizzicate all’inizio di “The Inevitable” o i riff più urticanti di “Passage”, abrasiva e dolorosa come una ferita appena aperta, i quattro musicisti confezionano un altro gioiellino dalle tinte crepuscolari: la capacità di dare corpo e spessore ad una musica pesantissima senza però renderla indigesta trasuda da ciascun brano, ammantato di quella dolorosa grandeur che rende le loro esibizioni live, tra smoking e rose bianche, memorabili. Esempio perfetto ne è la conclusiva “The Swan And The Raven”, tragica sia nella voce cavernosa di Matti Tilaeus, ancora una volta in perfetto stato di grazia nel ruolo dell’aedo di tempeste e sventure, che in tutto il comparto strumentale, eternamente in eccellente equilibrio tra pennellate quasi orchestrali e metal plumbeo e funereo.
Compagno è qualcuno che ci cammina accanto, condividendo la strada, le svolte improvvise, le asperità e la vita che si accumula lungo il viaggio: il sesto disco degli Skepticism ne è la colonna sonora, lunga tre decadi, perfetta.