8.5
- Band: SKID ROW
- Durata: 00:39:28
- Disponibile dal: 24/01/1989
- Etichetta:
- Atlantic Records
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Gli Skid Row rappresentano un altro fulgido esempio dell’armata glam proveniente dai fumosi angoli della East Coast, oltre ai più colorati Poison e ai mitici Bon Jovi. Ed è proprio alla band di Sambora & Co. che gli Skid Row sono a legati a doppio filo, dato che il buon Bongiovanni ha deciso di dare una chance all’amico Dave “Snake” Sabo, in virtù di una vecchia promessa fatta quando erano compagni tra i banchi di scuola, facendogli firmare un contrattone con la Atlantic Records per la release di questo debutto, che diventerà un piccolo grande tassello della storia dell’hair metal a stelle e strisce, e che vedrà gli Skid Row aprire in giro per gli States per pezzi da novanta quali Aerosmith e gli stessi Bon Jovi. Questi ‘Jersey boys’ non avevano l’appeal delle nuove rockstar che avevano i Guns n’ Roses, né la capacità di scrivere gioielli pop come i Poison o gli stessi Bon Jovi, ma avevano dalla loro una indiscubitile attitudine, un sound molto riconoscibile ed il carisma e la potenza vocale del mitico Sebastian Bach dietro il microfono, vero e proprio teen idol e condottiero della band. La consacrazione definitiva per il combo americano avverrà con il successivo “Slave To The Grind”, lavoro formalmente perfetto dove la band toccherà il suo acme compositivo, ma che ne segnerà anche il tramonto pressochè definitivo poco dopo, ahinoi. Diamo il via alle danze con il glam a tutto Sunset Boulevard dell’opener “Big Guns”, dove i Nostri si presentano cercando di irretire l’ascoltatore con un piatto conosciuto ma comunque gustoso. I ragazzi alzano poi il tiro con la godereccia e irresistibile “Sweet Little Sister”, trainata da un groove semplice e da un ritornello perfetto per la dimensione live, così come la successiva “Can’t Stand The Heartache”, pezzo dal taglio indiscutibilmente bonjoviano. Dopo questo uno-due all’insegna dell’orecchiabilità, passiamo al rock graffiante e graffiato di “Piece Of Me”, dove il lungocrinito frontman si muove su coordinate già molto più ruspanti rispetto ad inizio tracklist. Da questo momento in poi cominciano a fare capolino le vere hit di questo debut della compagine dell’East Coast; abbiamo infatti “18 And Life”, ballata dal sapore dolceamaro, trascinata all’epoca da un video ad alto tasso emozionale andato in heavy rotation su tutti i canali, insieme all’altra gemma “Youth Gone Wild”, ormai assurta allo stato di uno degli inni assoluti degli eighties e probabilmente pezzo simbolo della band, per i quali ogni ulteriore descrizione sarebbe ridontante. “Rattlesnake Shake” morde e ci fa muovere, “Here I Am” fa del cantato incalzante e del groove i suoi punti di forza, mentre con “Makin’ A Mess” mettiamo la freccia e ci immettiamo con prepotenza nella carreggiata dello street/glam più sfacciato. Chiudiamo infine il sipario con “ I Remember You”, ballata strappa-mutande che ha fatto sospirare un’intera generazione di ragazzine col poster di Sebastian in camera, e che ha certamente contribuito grandemente al successo di questo album e della band sul mercato che conta, e con “Midnight/Tornado”, traccia dove troviamo lo spettro dei Motley Crue aleggiare prepotentemente. Se per i ragazzi del New Jersey, come detto in precendenza, “Slave To The Grind” del 1991 è stato il culmine della propria carriera, è questa omonima perla ad aver fatto capire al mondo di cosa invece erano capaci. Poi, una poco fausta combinazione tra cattivo tempismo e lotte intestine insanabili tra primedonne hanno portato gli Skid Row a perdersi e ritrovarsi, mancando comunque sempre di costanza e continuità stilistica, finendo poi per campare principalmente di rendita nel corso degli anni successivi. Ma questo disco è indiscutibilmente un must per ogni fan del metallo cresciuto a cavallo della magica e mai troppo compianta decade dei capelloni, dei pantaloni di pelle attillati e del più puro sex, drugs & Rock ‘n Roll.