7.5
- Band: SKID ROW
- Durata: 00:20:39
- Disponibile dal: 24/05/2013
- Etichetta:
- UDR Music
- Distributore: Audioglobe
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Nel 1989 gli Skid Row irrompono come un fulmine a ciel sereno dal New Jersey con un omonimo album di debutto letteralmente strepitoso, contenente una serie di episodi ben bilanciati tra irruenze stradaiole, anthem da stadio e passionali power ballad. Le vendite da capogiro (si stimano oltre cinque milioni di copie vendute negli States) hanno permesso ai Nostri di creare una considerevole attesa per l’album successivo, quello “Slave To The Grind” nel quale viene irrobustita l’intelaiatura sonora. Complice il drastico cambio di rotta dei gusti musicali negli anni’ 90, con “Subhuman Race” la band compie l’imperdonabile errore di gareggiare con le nuove leve indurendo eccessivamente il sound, con il risultato di scontentare i vecchi fan e di essere ignorati dalla Generazione X. L’inevitabile split di Sebastian Bach ed il batterista Rob Affuso dal resto della band ha concluso una parentesi importante ed irripetibile di un certo modo di suonare hard rock. Contrariamente ad ogni pronostico, qualche anno più tardi il trio Hill/Sabo/Bolan assume Phil Varone dietro le pelli ed al microfono il cantante texano Johnny Solinger. Il comeback della nuova line up viene consacrato dal disastroso “Thickskin”, autentico pastone indigesto nel quale sono inglobati umori post-grunge e irritanti schegge pop punk. Il successivo “Revolutions Per Minute” proietta qualche timido segnale di ripresa, ma dal risultato complessivo appare lampante che i Nostri sono vicini al tramonto. Giunti a questo punto, i fan scalpitano per una reunion poco credibile con Sebastian Bach, il quale si barcamena in una carriera solista tutt’altro che irresistibile e, saltuariamente, lancia segnali distensivi ai suoi ex compagni di bagordi, da loro prontamente ignorati. Dopo ben sette anni di latitanza dall’ultima fatica discografica, gli Skid Row ritornano in pompa magna pubblicando la prima parte di un EP suddiviso in tre atti, che testimonia la definitiva rinascita artistica di una band data oramai per spacciata. I Nostri assolvono l’arduo compito di comporre cinque brani in grado di attualizzare l’energia dei bei tempi andati, riuscendo ad essere credibili e genuini al cento per cento. Non abbiamo paura di affermare che “Kings Of Demolition” sia l’ideale prosecuzione di “Monkey Business”, marchiata a fuoco da un groove superlativo dal quale esplode un chorus memorabile interpretato da un Solinger in stato di grazia. Quest’ultimo evita di scimmiottare il suo illustre predecessore, rendendosi artefice di una performance incisiva e determinata dal suo timbro caldo e graffiante, dimostrando così ai suoi detrattori di avere degli attributi grandi come palle da biliardo. “Let’s Go” alza il tasso di adrenalina alle stelle assumendo le sembianze di un terrificante dritto in grado di cambiare i connotati, mentre spetta alla ballata “This Is Killing Me” darci la possibilità di tirare il fiato: il brano viene spogliato dalle stucchevoli e nefaste dosi di saccarina tipiche delle power ballad per librarsi in un’atmosfera pregna di pathos, ma avvolta da un suono organico e asciutto. “Get Up” viene introdotta da un guitar work introspettivo che sfocia in un poderoso groove sincopato, la conclusiva “Stitches”, invece, è un indiavolato rhythm and blues portato alle sue estreme conseguenze. Non va trascurato il notevole lavoro svolto in fase di produzione, atto a donare alle composizioni un suono fresco e corposo. Gli Skid Row assumono metaforicamente le sembianze di un’araba fenice, figura mitologica in grado di risorgere dalle proprie ceneri e di tornare in vita con inaspettato vigore. Rimaniamo in trepidante attesa di goderci il secondo capitolo.
Rebels We Are. Fight We Will. We Are The United World Rebellion And We Are Back!