7.5
- Band: SKW
- Durata: 00:47:00
- Disponibile dal: 16/05/2014
- Etichetta:
- Bagana Records
- Distributore: Audioglobe
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Il groove è potente in questi uomini. Parafrasando il Darth Vader di starwarsiana memoria – citazione più che mai adatta al contesto, visto che l’acronimo SKW si riferisce proprio a Luke Skywalker, protagonista della saga nonché figlio di Lord Fener -, potremmo così introdurre “Signs”, quinta opera sulla lunga distanza del quintetto meneghino, a coronamento di venticinque anni di onorata carriera. Se pur discograficamente poco prolifica, dal punto di vista della qualità e varietà la formazione milanese non si è certo risparmiata, confezionando un disco che, alla stregua del precedente “Numbers”, mescola alla perfezione due decadi di crossover, senza rinunciare a quel pizzico di novità tipico di ogni release firmate SKW. Pescando dal mazzo rappresentato in copertina, i Nostri calano subito il primo asso con “Lights”, perfetta sintesi dei SKW edizione 2014: la sei corde a pompare groove, basso e batteria a macinare ritmo, arrangiamenti elettronici in sotto(s)fondo, e sopra tutto linee vocali in bilico tra incazzatura e melodia, senza mai accedere in nessuna della due direzioni. La seconda carta, passando dal poker ai tarocchi, sarebbe probabilmente il saltimbanco, vista la difficoltà di tenere i piedi incollati a terra durante l’ascolto di “The Final Destination”, mentre la terza traccia, “Amnesia”, scelta anche come singolo, è quella che più si avvicina al due di picche: un mid-tempo dal buon impatto live, ma la carta dal valore più basso disco. Con la title-track, un bel pezzo crossover yankee in stile Disturbed / Drowning Pool, e la successiva “Fail”, vicina ai Metallica in versione Mission Impossible, si torna a pescare carte alte, anche se il primo jolly del mazzo arriva in occasione di “Never So Close”, imprevedibile ballata hard-rock dal sapore ottantiano. Dopo l’ennesima coppia d’assi, con le potenti “A New D-Sign” e “Fake Parade”, è il turno del secondo giullare, con una riuscitissima versione di “Red Sector A” dei Rush: se pensiamo che, soltanto due dischi fa, la cover prescelta era “Smalltown Boy” dei Bronski Beat, si intuisce come di strada i Nostri ne abbiano percorsa parecchia. La sincopata “When Tomorrow Becomes Today” chiude, con il suo riff maligno, un album che possiamo tranquillamente definire come il migliore nella discografia della band milanese; una band che, a differenza di tante altre, fa parlare poco di sé fuori dal palco ma, quando a parlare è la musica, ha sempre qualcosa da dire.