7.0
- Band: SLASH
- Durata: 00:56:52
- Disponibile dal: 12/04/2010
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
Spotify:
Apple Music:
Pur essendo uno dei chitarristi più influenti e famosi degli ultimi vent’ anni, Slash ha sempre preferito mettere il suo talento a disposizione di una band vera e propria piuttosto che dedicarsi a progetti solisti. E’ vero che gli Snakepit erano più che mai una sua creazione, e sia nei Guns’ N’ Roses che nei Velvet Revolver il chitarrista naturalizzato statunitense era un leader, tuttavia è singolare come un musicista di tale qualità abbia aspettato così tanto tempo per pubblicare la sua prima opera solista. L’omonimo “Slash” è un disco che conferma la voglia del mago della sei corde di concentrarsi sul songwriting piuttosto che sulla tecnica personale, e infatti le tredici tracce che lo compongono si mantengono su buoni standard qualitativi e risultano assai godibili. Per la verità, a parte qualche episodio (su tutti l’ottima “By The Sword” con ospite Andrew Stockdale dei Wolfmother), non parliamo di canzoni esaltanti o che aggiungono chissà cosa al ricchissimo repertorio di Slash, ma allo stesso tempo il fatto di non percepire cali di tensione creati da canzoni sottotono rappresenta un importante punto a favore. Tra l’altro l’idea di chiamare una serie di ospiti più o meno famosi ad alternarsi dietro il microfono ed in alcuni casi ai vari strumenti si rivela una mossa vincente che consente al disco di creare una varietà stilistica coinvolgente alla quale Slash sembra adattarsi perfettamente, come dimostrano le aperture metalliche presenti in “Crucify The Dead” e “Nothing To Say”, interpretate – guarda caso – da Ozzy e M. Shadow degli Avenged Sevenfold. La gran parte del disco verte comunque su sonorità rock ed hard rock concedendo le giuste pause con ballate di valore come “Gotten” e “Saint is A Sinner Too” (Adam Levine dei Maroon 5 e Rocco De Luca gli interpreti), e raggiungendo i picchi qualitativi con “Promise” e “Starlight”, grazie anche alle bellissime performance di Chris Cornell e Myles Kennedy (Alter Bridge). Sicuramente più di routine le prestazioni di Lemmy e Iggy Pop, rispettivamente in “Doctor Alibi” e “We’re All Gonna Die”, mentre le comparse “fashion” di Fergie e Kid Rock suscitano impressioni positive, aggiungendo ulteriore sale ad un disco un po’ manieristico, costruito non solo sulle canzoni ma anche su una carrellata di ospiti prestigiosi e di moda; considerazioni, queste ultime, lecite e doverose, e che non scalfiscono la piacevolezza dell’ascolto.