6.5
- Band: SLAYER
- Durata: 00:38:29
- Disponibile dal: 04/08/2006
- Etichetta:
- Warner Bros
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Come tutti sanno, ci sono fan degli Slayer che hanno capacità critica e metro di giudizio pur adorando la band, e fan degli SLAAAAAYEEEEEEEERR!, adoranti ogni singola nota fuoriuscita dalla mente della formazione, incapaci di accettare ogni benché minima valutazione non positiva e applicanti alla lettera il verbo di Araya. Chi appartiene alla seconda frangia può smettere di leggere ora e bearsi dell’attesissimo ritorno discografico dei quattro, finalmente con la formazione degli esordi e il loro produttore storico Rick Rubin. Almeno sulla carta, visto che il maestro ha preferito lasciare la consolle all’astro nascente di Josh Abraham, per andare dai dollari e dai Metallica, con sommo dispiacere dei nostri. Se ci si poteva aspettare un capolavoro, viste le premesse, il risultato non è all’altezza delle aspettative – veramente molto alte a dire il vero, per il valore storico del gruppo, per l’attesa durata cinque lunghi anni, per l’auspicato ritorno di Lombardo, per le dichiarazioni pre-pubblicazione e per quel gioiellino di nome “Cult”, d’obbligo nel live set della formazione da qui all’eternità. Sfortunatamente di “ma” ce ne sono parecchi. Il disco è un concept lirico su come la religione e la politica imprigionino l’uomo, e se i testi non vertono sull’eresia, si concentrano sull’altro tema prediletto storicamente, ovvero la guerra: va ammesso che figurarsi un quarantacinquenne oramai brizzolato intento a scagliare anatemi contro il cristianesimo può però far sorridere. Fondamentalmente questo “Christ Illusion” è un album di compromessi, diviso tra la volontà di ricreare i fasti del passato glorioso e la tendenza a introdurre qualcosa di nuovo. Grazie a pezzi come l’iniziale “Flesh Storm”, “Catalyst”, “Consfearacy” e la sopracitata “Cult”, gli assetati della vecchia scuola possono godere di riff alla velocità della luce dalla migliore scuola Hanneman/King, ma sempre con la pesante ombra dell’autocitazionismo alle spalle. Tra le tracce “ammodernate” spicca “Jihad”: con un testo ispirato all’11 settembre visto dal punto di vista dei terroristi, un esordio alla Tom Morello e musicalmente molto vicina ai System Of A Down, risulta un esperimento ben riuscito. Come si nota nel riff scippato ai Fear Factory nel finale di “Catatonic”, gli Slayer hanno digerito il movimento nu-metal molto meglio di altri. Lombardo è come sempre superlativo: velocissimo e fantasioso, regala un’effervescenza e una carica che Bostaph non è mai riuscito a creare, pur essendo un batterista d’eccezione; da notare il blast-beat su “Supremist”, a memoria il primo della discografia Slayeriana. Un altro disco degli Slayer, sufficiente ad appagare la sete dei fan e a dare la scusa di fare qualche altro anno di tour, ma quello in cui tutti speravano era qualcosa di storico e monumentale, qualcosa di più di “un altro album”.