9.5
- Band: SLAYER
- Durata: 00:37:12
- Disponibile dal: 12/03/1985
- Etichetta:
- Metal Blade Records
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In questo periodo colmo di notizie, entusiasmo e polemiche a seguito dell’annuncio del ritorno sulle scene dei padri del metal estremo, abbiamo pensato potesse essere l’occasione perfetta per riestrarre dalle fiamme diaboliche quel capolavoro assoluto che risponde al nome di “Hell Awaits”, secondo lavoro in studio ad opera di Tom Araya e soci, e che peraltro l’anno prossimo compirà quarant’anni esatti dal momento della sua uscita sul mercato datata 1985.
Mai come in questo caso siamo stati in presenza di un album su cui non ci sarebbe poi moltissimo da dire, in quanto a parlare è sostanzialmente il suo miscuglio di soluzioni musicali distruttive e blasfeme, qui rese con una quantità di collera e ferocia ineguagliata fino a quel momento in tutto il panorama metal mondiale; e questo anche considerando il predecessore “Show No Mercy” che, per quanto già avanguardistico sul versante della brutalità sonora, risulta ancora oggi molto più orecchiabile e vincolato a determinati stilemi ‘melodici’ tipici dell’heavy metal di quei tempi. Chiaramente, la capacità degli Slayer di applicare alcune possibili variazioni sulla proposta si affinerà meglio nei lavori successivi, visto che nell’album qui presente a farla da padrone è una genuina e inconfondibile malignità, figlia dell’entusiasmo giovanile e anche del fattore novità rappresentato da un utilizzo così devastante di riff e sfuriate di sorta, con un risultato generale che ha letteralmente ridefinito i confini del thrash e gettato le basi per quelli del death.
Se all’Inferno ci fosse una colonna sonora, riteniamo che pochi album sarebbero degni di farne parte al pari di questo, e per rendersene conto basterebbe sedersi in cerchio attorno a una tavola Ouija appositamente compilata, e lasciare che siano i demoni o la imprevedibile volontà del caso a scegliere quale brano riprodurre: dalla lunga e macabra introduzione dell’iniziale titletrack, passando per le coltellate di “Kill Again” e per quella sorta di tetra marcia militare di “At Dawn They Sleep”, tutto sembra suggerire di essere in presenza di una di quelle opere da gustare sempre e comunque nella sua interezza, quasi come se si trattasse di un unico inno mortuario della durata di trentacinque e rotti minuti.
Già a questo punto il contributo strumentale appare nitido e distinguibile: gli inserti di basso e, soprattutto, le trovate vocali di Tom Araya sono in dirittura di arrivo presso quello stile inconfondibile che diverrà un marchio definitivo di fabbrica nel seguente “Reign In Blood”, inclusi quegli striduli e ossessivi urli che svettano sulla sezione ritmica tritaossa sorretta dalla batteria di Dave Lombardo, che di lì a poco sarebbe divenuto uno dei musicisti più quotati della scena. Sulle chitarre ci sarebbe ancora meno da aggiungere, visto che le ritmiche smitraglianti e i fraseggi semplici e perfidi di Kerry King e Jeff Hanneman hanno fatto letteralmente scuola, ma si potrebbe dire qualcosa di positivo anche sugli assoli, certamente poco volti a dare una valorizzazione melodica, quanto più a collocare l’accento sulla velocità esecutiva e volutamente sprovvista di velleità raffinate.
La parte centrale è forse quella che preferiamo, con un’accoppiata avvampante come quella composta da “Praise Of Death” e “Necrophiliac”, la quale rappresenta probabilmente uno dei picchi più alti di cattiveria e capacità rappresentativa toccati dalla band americana in tutta la carriera, seguita dalla lunga e oscura “Crypts Of Eternity” e da una chiusura che sprizza sangue da ogni nota, ovviamente da assaporare a denti digrignati mentre risuonano i quattro minuti di “Hardening Of The Arteries”, che mette la pietra tombale in dissolvenza su un ascolto che ancora oggi non ci lascia illesi nemmeno per sbaglio.
Così come non è possibile amare l’heavy metal senza portare il massimo rispetto ai Black Sabbath, è del tutto fuori discussione sostenere di apprezzare il metal estremo senza provare dei brividi di libidine ascoltando lavori come “Hell Awaits”, che incarna al cento per cento l’essenza malvagia che permea ancora oggi le derive più brutali della nostra musica preferita. Una di quelle opere che, prima o poi, dovrebbero trovare posto tra le materie scolastiche, di modo da capire subito chi può risultare affascinato da cotanto valore, e chi invece è più probabile si senta intimorito mentre la terra trema e gli Slayer risuonano nell’impianto.
Speriamo che, in occasione delle nuove date in programma, la resa generale sia ancora quella che ricordiamo con piacere ogni qualvolta ripensiamo alle nostre lunghe sessioni di moshpit in compagnia di satanassi e demoni di sorta.