SLEEP TOKEN – Even In Arcadia

Pubblicato il 12/05/2025 da
voto
7.0
  • Band: SLEEP TOKEN
  • Durata: 00:56:30
  • Disponibile dal: 09/05/2025
  • Etichetta:
  • RCA

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Abbiamo appena assistito all’ascesa al trono di due papi capaci di raccogliere consensi su entrambe le sponde dell’Atlantico – l’appena eletto Leone XIV e Papa V Perpetua dei Ghost, fresco di primo posto nelle classifiche americane – ma l’attenzione della comunità metal, a partire dalla stampa di settore, in questo momento è tutta per il nuovo album degli Sleep Token, tornati con un quarto disco che di metal in senso stretto ha effettivamente poco (ad occhio circa il venti per cento, se dovessimo misurarlo in base al tempo in cui sono presenti delle chitarre distorte, nella peraltro eccellente opener “Look To Winward”).
D’altro canto il melting pot stilistico è da sempre uno dei tratti distintivi della band inglese, insieme al mistero sull’identità del frontman Vessel, un fantasma dietro la maschera (non ha mai concesso un’intervista da quando è uscito l’album di debutto), per certi versi sorprendente in un’era iperconnessa come l’attuale. Se i primi due capitoli della trilogia, “Sundowning” e “This Place Will Become Your Tomb”, possedevano ancora una solida anima tech/alternative metal, pur mescolata con generi diversi, il terzo sigillo, “Take Me Back To Eden”, spingeva all’estremo questa contaminazione, allargando sempre più la palette sonora con robuste dosi di hip hop, trap, R&B, hyper pop ed elettronica.
Con “Even In Arcadia” ci si muove invece a due velocità: da un lato il trademark sonoro resta la commistione di generi, dall’altro il disco nel suo complesso risulta più intimo e lineare rispetto al trittico che lo ha preceduto.
La capacità di mescolare una sensibilità pop in grado di accarezzare le corde dell’anima con squarci di violenza chirurgici come i tagli di Lucio Fontana trova piena espressione nella già citata traccia d’apertura (ispirata al poemetto di T. S. Eliot “La Terra Desolata”), con un synth a 8bit che crea il climax ideale prima di un breakdown degno di Ihsahn, e nella conclusiva “Infinite Baths”, dove il rimando pinkfloydiano da il là ad un finale tempestoso come solo i migliori Deftones sanno essere.
Interessante anche “Emergence”, un pastiche che unisce metal, trap-pop e jazz con un sax che non sarebbe dispiaciuto agli ultimi Avenged Sevendfold, mentre la parte centrale della tracklist procede un po’ con il pilota automatico e il bilancino del farmacista secondo una formula ormai consolidata: “Dangerous” e “Provider” sembrano un mash-up da Youtube di Usher e John Legend con un breakdown di una band djent a caso, e anche gli elementi di parziale novità, come il reggaeton di “Caramel”, non reggono il confronto con gli exploit creativi del passato, nonostante gli ottimi pattern di batteria e senza nulla togliere al significato lirico del pezzo (in questo caso un dissing di Vessel alle aspettative dei suoi fan). Discorso simile per “Damocles” (un titolo che palesa da subito la pressione conseguente alla fama), in cui l’amalgama stavolta è più riuscita, ma la linea vocale semplicemente non decolla.
Paradossalmente, considerato il percorso per accumulo fatto finora, il lavoro di sottrazione è probabilmente l’aspetto più interessante del disco: la title-track, solo piano, voce e violino in attesa di una sfuriata che non arriverà mai, risulta uno di momenti più emozionanti e teatralmente intensi nella discografia degli ST; “Past Self” viceversa, nel suo essere una canzonetta smaccatamente pop, perfetta per accompagnare un video di TikTok, ha dalla sua il pregio della semplicità e mette in mostra le indubbie capacità vocali del frontman.
L’apice del successo – primi posti nelle classifiche, posizione da headliner al Download Festival con il record di precocità degli ultimi vent’anni – è inversamente proporzionale alla crescita qualitativa, con il primo passo indietro dopo tre album in crescendo: un film già visto altre volte in passato e frutto più di quanto seminato finora che delle strategie di marketing (per quanto il contratto con una major come la RCA aiuti l’esposizione mediatica) ma, tralasciando i vacui proclami sul ‘futuro del metal’ – per il quale pregasi citofonare altrove – “Even In Arcadia” ha l’indubbio merito di saper avvicinare il futuro, leggasi i giovani, al metal.

TRACKLIST

  1. Look To Windward
  2. Emergence
  3. Past Self
  4. Dangerous
  5. Caramel
  6. Even In Arcadia
  7. Provider
  8. Damocles
  9. Gethsemane
  10. Infinite Baths
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