
9.0
- Band: SLIPKNOT
- Durata: 00:58:13
- Disponibile dal: 29/06/1999
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Self
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1999: il terremoto Korn sta ancora scuotendo il mondo della musica heavy, influenzando gruppi emergenti come realtà affermate (Sepultura, Machine Head, Slayer). Sono venuti alla luce Deftones, Coal Chamber, Limp Bizkit e System Of A Down, in un calderone psicotico, deviato, instabile ed emozionale. In quegli anni di enorme fermento, racchiuso nella bolla del nu metal, sta per fare la comparsa una formazione capace di smuovere nuovamente il terreno, giusto qualche mese prima che “Hybrid Theory” (dei Linkin Park) cambiasse di nuovo le regole del gioco. Dal contesto anomalo e anonimo di Des Moines, nel Midwest, una formazione a nove elementi polverizza le tappe verso il successo evolvendo il concetto di ‘shock rock’ con una presenza scenica incredibile: nove musicisti con tuta da lavoro rossa che indossano maschere macabre, grottesche e raccapriccianti, identificati esclusivamente da un numero da 0 a 8. La tipica formazione a cinque allargata da un DJ, un addetto ai sampler e ben due percussionisti. Senza particolari effetti scenici, la performance live raggiunge livelli di altissima intensità, con picchi di violenza insensata che coinvolgono i musicisti stessi che cadono, si picchiano, si gettano nel vuoto, mimano la masturbazione. Un attacco non orchestrato e caotico, in balia di mostri la cui lucidità è soffocata da maschere adatte ai film horror. Giocando sul confine col ridicolo, gli Slipknot diventano presto la priorità di una Roadrunner Records che è finalmente consapevole di essersi accaparrata un pezzo da novanta del segmento nu metal. Assieme all’estetica, negli Slipknot c’è sostanza, quella ribollente e caotica miscela che brucia, difficile da descrivere come da incanalare sotto una singola etichetta. Il suono, affidato al produttore del momento Ross Robinson, ha le caratteristiche fondamentali dell’universo Korn: chitarre a sette corde ultraribassate, batteria secca, vocals che alternano screaming a clean enfatizzate all’eccesso, sino alla deformazione, alla rottura per il pianto. Gli Slipknot eliminano le componenti funk/hip hop e new wave di Deftones e Korn, aumentando la velocità e lasciando emergere influssi death metal e industrial, seppelliti da una sezione ritmica fittissima, invadente e strabordante (tra percussioni e il lavoro incredibile del #1 Joey Jordison), storpiata e manipolata da massicce dosi di campioni e scratch, come il memorabile ‘Here comes the pain!’ all’inizio di “(sic)”, estratto da Carlito’s Way di Al Pacino. Una stratificazione del tutto inedita, quasi indeglutibile al primo ascolto, destabilizzante e dolorosa… Vi ricordate la prima volta che avete visto “Tetsuo” di Tsukamoto? Il #8 riesce a raddoppiare l’assalto al sistema nervoso con una prova maiuscola e dalle ricche sfaccettature: portato sull’orlo del crollo emotivo, come vuole il marchio del producer-psicologo Ross Robinson, Taylor è velocissimo e del tutto sregolato in una prova che, nell’alternare urla disumane, parti rocambolesche e quasi rappate e improvvisi slanci melodici, spesso boccheggia, deraglia e sembra perdere il senno, in una sorta di trance delirante dovuta a mancanza di ossigeno. Una tracklist lunghissima per 58 minuti di viaggio sonoro che rappresentano, ad oggi, un album molto ispirato e vario, con pezzi come “(sic)” e “Only One”, musicalmente ben costruiti e dall’aggressività di diversi colori; come “Wait And Bleed” e “Spit It Out”, più dirette e con elementi melodici rilevanti; oppure ipnotici e allucinati come “Prosthetic” e “Scissors”. Oggi lo diamo per scontato, ma “Slipknot” fu estremo, terrificante e inedito, una novità sconcertante, e ad oggi con tutta probabilità è il disco musicalmente estremo che ha raggiunto il maggior numero di vendite, proiettando la band verso un successo di scala mondiale; e per successo si intende quello con la S maiuscola, quello mainstream da copertine, dischi di platino e Grammy Awards, e quello vero che porta il gruppo ad essere amatissimo dai suoi maggots ed headliner ai festival, imitato e inimitabile. Un disco spaventoso, ancora unico, anche all’interno della stessa discografia del gruppo.