5.0
- Band: SMASHING PUMPKINS
- Durata: 01:12:16
- Disponibile dal: 27/11/2020
- Etichetta:
- Sumerian Records
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Premessa: per chi scrive gli Smashing Pumpkins degli anni ’90 – quelli del trittico “Siamese Dream”, “Mellon Collie” e “Adore”, cui aggiungiamo volentieri anche “Gish”, “Pisces Iscariot” e “Machina” – restano una delle migliori voci di un’intera generazione, e avranno sempre un posto nell’Olimpo dei grandissimi. Proprio per questo, pur comprendendo che la vita debba andare avanti, abbiamo sempre chiuso un orecchio su tutto quanto rilasciato nell’epoca post-reunion, convinti che, al di là del logo in copertina e della line-up effettiva, si trattasse dell’ennesimo progetto solista di un Corgan ormai tornato sulla Terra. Dopo la delusione del posticcio “Shiny And Oh So Bright, vol.1. No Past. No Future. No Sun.”, che aveva almeno dalla sua il merito della brevità, eravamo preoccupati all’annuncio di un doppio album, nelle dichiarazioni della vigilia indicato come il primo e vero proprio lavoro corale dopo la reunion. In realtà “Cyr”, che nell’iconografia richiama “Adore” e nella durata “Mellon Collie”, di mastodontico ha solo il minutaggio, ma per il resto non c’è una briciola della poesia e dell’epica che ha reso immortali i dischi di cui sopra. Tralasciando l’onta mortale di avere Jimmy Chamberlin e usarlo poco più di una drum machine, stupisce anche l’omogeneità stilistica che ammorba le venti (!) tracce: va bene la passione per gli anni ’80 e la new wave, ma chi si aspettava un album ‘double face’ che rappresentasse la doppia anima delle zucche, quella più rock e quella più soft, resterà deluso trovandosi di fronte ad una sfilza di pezzi simili tra loro; come se nulla fosse stato scartato dalle sessioni, se non che l’ultimo outtake contenuto in “The Airplane Flies High” caga in testa alla traccia migliore di “Cyr”. Dimenticandoci per un attimo del nome posto in copertina e ponendosi all’ascolto nei panni dell’ascoltatore medio di Virgin Radio (disclaimer: nessun ascoltatore di Virgin Radio è stato maltrattato durante questa recensione), diciamo che un po’ di canzoni carine ci sono anche – la tripletta iniziale formata da “The Colour Of Love”, ”Confessions Of A Dopamine Addict” e la titletrack; e ancora “Ramona”, “Anno Satana”, “Starrcraft”, “Adrennalynne”, “The Hidden Sun” -, ma la tracklist è così annacquata che se l’assaggio non dispiace l’ascolto intero perde invece di gusto, salvando solo il sempre prezioso contributo delle coriste (Katie Cole e Sierra Swan), uniche note positive anche in autentiche ciofeche come “Schaudenfreud” o “Tyger, Tyger”. Sincero tributo al synth-pop (peraltro già omaggiato negli anni ’90) o abile mossa svolta a sfruttare il revival anni ’80 post-Stranger Things? Non lo sapremo mai, ma la verità è che, fermo restando il disappunto dei fan storici, se fosse stato compatto come il suo titolo “Cyr” avrebbe potuto essere un buon lavoro, invece stavolta la grandeur di Corgan ha giocato a sfavore, penalizzando il poco di buono con tanta, troppa, fuffa. Per ora è tutto da Corgan-city, sperando che il prossimo passo non sia un sequel di “Mellon Collie”, perchè questo, davvero, sarebbe troppo.