7.5
- Band: SOEN
- Durata: 00:54:20
- Disponibile dal: 29/01/21
- Etichetta:
- Silver Lining
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Ah, duri tempi per la musica progressive… Trovare una strada che riesca a non risultare scontata è oggi quanto mai arduo: ripescare dal passato o muoversi verso il futuro? Ricercare o ritrovare? In un qualche modo anche i Soen, ormai staccati da quel pesante paragone coi vecchi Tool (se mai abbia mai avuto senso un paragone di questo tipo), si ritrovano a dover far scattare qualcosa al loro corso, dopo il ben riuscito “Lotus” del 2019. E con questo quinto “Imperial” sembrano avere le idee ben chiare. “Siamo stati in grado di trascorrere dodici ore al giorno per molti mesi portando il disco nel posto che volevamo veramente, lavorando principalmente sul ritmo e sul flusso dell’album” dice Lopez.
Effettivamente sembra tutto molto chiaro. Il carattere progressive più tecnico e a temerario viene lasciato da parte in favore di un heavy metal più ‘datato’ e ‘scontato’, adattato però all’occasione e sempre attento all’efficacia. Con l’aiuto (non indifferente) di Kane Churko, noto produttore di Ozzy Osbourne e altri eroi del metal ‘da classifica’, il suono pulito e del tutto radiofonico è quello che i Soen sembrano aver ricercato senza se e senza ma. Joel Ekelöf la fa ancora una volta da padrone indiscusso, donando il timbro chiarificatore a quello che era iniziato come un percorso diverso con “Tellurian” e che ora arriva a dichiararsi bramoso di riconoscimento onnicomprensivo: piacere a tutti e fin dal primo ascolto.
“Imperial” sancisce infatti, ormai, lo status di heavy metal band con reminiscenze prog, che talvolta riempiono i contorni (“Lumerian”, “Antagonist”, “Dissident”) ma che fondamentalmente sono solo retaggi passati e forse nemmeno più necessari, nascosti da vocals sempre più ‘in faccia’ e sempre più epiche. Anche lo stesso Lopez sembra non lasciarsi andare a nulla che non sia immediato ed efficace in maniera diretta, abbandonandosi a giri piuttosto scontati ed a poche idee, ma di sicuro impatto immediato. Certi Fates Warning più radiofonici sembrano sì echeggiare nelle linee di alcuni brani (“Monarch”), ma senza immergere il capo in nulla che esuli dal ‘catchy’ e dalla possibilità di essere singolone del disco, un po’ come già recentemente han fatto i Pyogenesis, band affatto lontana da questi lidi, così come sembra di risentire anche gli ultimi Antimatter in più di un’occasione (“Illusion”), forse per certe malinconie delle linee vocali di Ekelöf. Questo, però, senza mai entrare in territori troppo decadenti e sanguinanti malessere: senza nulla, dunque, che non sia fatto per alzare il caro e vecchio pugno – metallaro – al cielo. Cody Ford alle chitarre, in effetti, è un altro musicista che rema in questa direzione, abbandonando la volontà di finire in qualche video cover Youtube per qualche shredding o riffing impossibile, ma ricordandosi del caro e vecchio hard rock da ballad strappaaccendini (“Illusion” e “Fortune” sono davvero carte scoperte, almeno in termini di semplicità e di standardizzazione). I testi giocano sullo struggersi contro i grandi mostri di depressione e fallimento, in un’epoca che risucchia e inghiotte chi ancora pensa di restare attaccato ad un passato ormai perduto. Eppure si può ancora lottare: la luce che trapela da un mix così chiaro e pulito, non a caso, contribuisce a questa efficacia così ricercata.
Troppo facile così? Forse, ma non per questo sbagliato. Certo, i Soen non osano andare più in là che la ricerca di un’immediatezza radiofonica e un impatto impacchettato per piacere fin da subito. Lasciando da parte la vena prog e dedicandosi ad un heavy metal più scontato e facilotto, arrivano però a sottolineare come la strada verso la bella canzone sia ancora una volta quella che probabilmente salverà dal dimenticatoio. Questa volta, forse, ha funzionato così per come è. Perde il progressive e vince il bel pezzone metal, di cui, forse, c’era più bisogno che un’altra poliritmia da coverizzare in rete.