8.5
- Band: SOILENT GREEN
- Durata: 00:47:16
- Disponibile dal: 14/04/1995
- Etichetta:
- Dwell Records
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“Soylent Green”, noto in Italia come “2022: i Sopravvissuti”, è un film di fantascienza distopica in cui si immagina un pianeta Terra talmente sovrappopolato da costringere la maggior parte degli abitanti in stato di indigenza semi-belluina, con a disposizione solo le fantomatiche gallette ‘soylent’, la cui variante verde sembrerebbe essere la vera speranza dell’umanità… sembrerebbe, appunto. Modificato il nome con una I al posto della Y, anche per evitare problemi in termini di copyright, nel 1988 cinque giovani musicisti della Louisiana decidono di unire le forze e creare un loro mondo sonoro che, in qualche modo, richiamasse la disperazione e l’abiezione presenti nel film, sommandole egregiamente alla nascente scena sludge, che proprio nelle loro terre sta mettendo in mostra i suoi migliori campioni.
La formazione è inizialmente composta da tre ex membri dei Nuclear Crucifixion, band thrash metal la cui fama non andrà oltre i confini di New Orleans, ma tra i quali spiccano un certo Brian Patton (poi a lungo con gli Eyehategod) e il marcissimo cantante Glenn Rambo, più avanti sfortunata vittima dell’uragano Katrina; mentre il bassista Scott Williams morirà tragicamente in un episodio di omicidio/suicidio, perfettamente in linea con le visioni da suburbia cantate dalla band. Ma è solo dopo il quinto demo e la sostituzione del vocalist con Louis Benjamin Falgoust II, un personaggio adatto a fare il frontman fin dall’evocativo nome, che i Soilent Green decollano davvero e incidono il loro primo full length: è il 1994, con l’uscita ufficiale nel febbraio dell’anno seguente; il disco si intitola appunto “Pussysoul” e inserisce i Soilent Green al pari dei conterranei Acid Bath, Crowbar e Eyehategod nell’Olimpo del genere. Questi cinque terroristi sonori arrivano leggermente dopo le succitate band e riescono in certa misura a sintetizzare tutti gli elementi di forza delle precedenti: c’è una vena poetica malsana, che certo non tocca le vette liriche di Dax Riggs, ma pure li accomuna agli Acid Bath; a Kirk Windstein, che nel 2005 porterà nei suoi Crowbar il batterista Tommy Buckley, ‘rubano’ il riffing trascinante, una caratteristica spiccata che per anni terranno solo queste due band, nella scena sludge; mentre, per la dimensione più psicotica e tossica, anche in termini di esperienze di vita, il modello è chiaramente quello di Mike Williams e dei suoi Eyehategod. Il tutto miscelato con alcuni elementi assolutamente peculiari, in particolare una forte componente hardcore; come esplicitato dal neologismo del titolo, “Pussysoul” è un pugno in faccia alle anime candide e deboli, uno spaccato del proletariato bianco – o white trash, se vogliamo usare un termine di più recente conio – che pare il contraltare ante-litteram delle odierne battaglie sotto l’egida del Black Lives Matter: i bianchi del Sud, squattrinati e senza titoli di studio da Ivy League, sembrano avere come unica prospettiva i miseri e disperati quadretti descritti, in maniera sia vivida che metaforica, in queste dodici canzoni.
Alcuni episodi si muovono su sonorità e ritmiche prettamente death, a partire dalla doppietta iniziale “Thirteen Days A Weak” / “Slapfuck”, dove Falgoust inaugura il suo più bieco growl; ma mette anche ottimamente a servizio gli intermezzi vocali sguaiati che rispondono perfettamente ai canoni del dolore interiore sludge. Tale dimensione, con suoni sempre più grassi e richiami blues (in forma psicotica) percorrono brani dai titoli e testi notevoli: “Falling From A 65 Story Building”, la cadenzatissima “Lips As So Of Blood”, “Zebra Zombies”, “Golfers Just Love Punishment”. Il resto del lotto alterna efficacemente momenti dissonanti e taglienti a fucilate disarmanti, che, sotto il loro livello più grezzo, mostrano anche gran perizia tecnica (“Keep Crawling”). La breve “Love None” è una summa folgorante, in appena cinquantuno secondi, di disagio e misoginia – I’d Rather Put My Hands Around Your Neck […] My Foot In Your Throat Will Suffice […] The Problem Is You Bitch – prima del finale affidato a “Branding Of Thieves”: il brano più canonicamente sludge del disco, curiosamente un sound che i Soilent Green imbastardiranno ed estremizzeranno sempre più nei seguenti dischi, pur mantenendosi ad altissimi livelli di sociopatia.