7.0
- Band: SOILWORK
- Durata: 00:45:00
- Disponibile dal: //2002
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
Partiamo dal fondo: il nuovo album dei Soilwork e’ obiettivamente un buon disco, ma non convince granchè chi scrive. Se dopo “A Predator’s Portait” era prevedibile un ulteriore alleggerimento del sound e lo sviluppo degli elementi nuovi presenti su quell’album (vocals pulite, strutture più semplici), non ci saremmo comunque aspettati una tale rottura con il passato. I nostri, rispetto al disco precedente, hanno premuto il freno ulteriormente, non concedendo nulla o quasi alle sonorità ferali degli esordi (per intenderci i due ottimi lavori targati Listenable). “Natural Born Chaos” e’ composto da dieci mid tempo, tutti piuttosto simili tra loro, in cui sono le pur ottime clean vocals e le tastiere a farla da padrone. I brani seguono tutti la struttura “strofa in growl/ritornello in voce pulita” e non vi e’ traccia delle sfuriate death-thrash a cui la band ci aveva abituato e che erano ancora presenti nel transitorio “A Predator’s Portrait”. I riff non sono mai particolarmente aggressivi e non ci vuole molto per intuire che Henry Ranta stia facendo una fatica pari a zero dietro a quella batteria. Abbiamo apprezzato molto l’uso piu’ massiccio delle tastiere, ma non vediamo il motivo per cui cio’ abbia dovuto precludere l’inserimento di parti piu’ aggressive che probabilmente avrebbero dato un po’ piu’ di respiro alle composizioni. Un’altra cosa quantomeno discutibile e’ l’inserimento ovunque di ritornelli in voce pulita, a volte talmente melodici e catchy da risultare imbarazzanti: e’ il caso di “No More Angels” che, al primo ascolto, ci ha veramente spiazzato. Anche nelle parti “heavy”, poi, la voce di Strid e’ assai lontana dalla cattiveria degli esordi: e’ si sporca, ma sembra messa li’ per forza, giusto per far risaltare il ritornello, tanto e’ priva di mordente e convinzione. Inoltre, a nostro avviso, che senso ha avuto invitare un genio come Devin Townsend se il suo apporto si limita a delle vocals su uno dei brani (“Blackstar Deceiver”) e a una produzione che piu’ di tanto non si discosta da quella tipica dei Fredman Studios e della quale se ne sarebbe potuto occupare benissimo il solito Frederik Nordstrom? A nostro parere, Devin avrebbe reso assai meglio con i cugini Darkane, ma questo e’ un altro discorso. Vogliamo comunque sottolineare, come detto all’inizio, che non consideriamo “Natural Born Chaos” un fiasco totale: la classe dei nostri non si discute e certi brani (“The Flameout”, “Song Of The Damned” e la stessa “Blackstar Deceiver”) sono davvero notevoli. Inoltre si tratta di un disco molto piu’ omogeneo del suo predecessore, che alternava brani nello stile classico ad altri dove facevano capolino le sperimentazioni. Un altro punto a favore di “Natural Born Chaos” e’ senza dubbio l’originalita’ che caratterizza le composizioni: difficilmente troverete una band che suona come i Soilwork di oggi; tutti i brani denotano una personalita’ tutt’altro che comune. Molto probabilmente questo album portera’ quindi alla band molti nuovi fan e grandi soddisfazioni dal punto di vista delle vendite e probabilmente si sprecheranno parole come “evoluzione”, “maturazione” e cose del genere. Per quanto ci riguarda, ascoltando questo lavoro, abbiamo però avuto una brutta sensazione, quella della svolta commerciale, quella di aver perso una band per la quale un tempo ci si esaltava davvero.