6.0
- Band: SOILWORK
- Durata: 00:46:20
- Disponibile dal: 19/10/2007
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
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Ma cos’è sta roba? Ma vi pare possibile che uno dei gruppi più promettenti della scena svedese si riduca in questo modo? Il nuovo lavoro dei Soilwork è La delusione del 2007 appena trascorso, e questo a dispetto della sufficienza che comunque ci sentiamo di dare all’album. Qui si parla di valore relativo, non di valore assoluto. In poche parole: per i Nostri un sei pesa come un macigno, è segno di sconfitta, di fallimento. La Nuclear Blast lentamente ma inesorabilmente ha minato la band fin dalle fondamenta, evidentemente con consigli e direttive che mal si legavano con l’anima della band, che ha interrotto la propria crescita dopo il bellissimo “Natural Born Chaos”, ritrovandosi sistematicamente a pubblicare album ben poco ispirati, scritti e registrati frettolosamente, e privi della benché minima ispirazione. Quell’ispirazione cristallina e ricca che aveva letteralmente graziato la band nella prima fase della carriera, guarda caso proprio quella fase che permette loro di essere oggi ancora considerati un gruppo di punta. Una punta spuntata, anche a causa del provvidenziale abbandono del chitarrista e principale compositore Peter Wichers, trovatosi forse spiazzato dalla imbarazzante discesa qualitativa della band. La summa di tutto è questo “Sworn To A Great Divide”, plasticone lungo undici pezzi dove si susseguono riff, melodie e attacchi frontali con la stessa forza con cui la scoreggia di una mosca può pretendere di girare le pagine di un libro. La voce del sempre bravo Bjorn “Speed” Strid, aiutata in fase di produzione da Devin Townsend (sono tuttavia lontani i fasti di “Natural Born Chaos”), fatica non poco a tenere le redini del discorso, e a conti fatti sono pochi i pezzi che rimangono in mente, lasciando una sensazione positiva. Possiamo nominare la title-track, perfetta in apertura, il singolo classicissimo “Exile”, oppure “The Pittsburgh Syndrome”, dove gli At The Gates si fanno sentire non poco. Una accentuata influenza Testament si lascia scorgere qua e là nei vari pezzi, tanto da rappresentare forse l’unica attrattiva per chi si volesse divertire a trovare punti in comune. Un po’ poco, se consideriamo che l’album continua imperterrito su un imbarazzante livello mediocre, culminante con la conclusiva “Martyr”, la bonus track di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza. A corredo del tutto arriva il solito DVD bonus, tutto fumo e niente arrosto: un bootleg (e mai la parola ‘bootleg’ fu più appropriata) registrato allo Z7 svizzero, il video clip di “Exile”, insolitamente ben realizzato, ed un doppio studio report, da cui riusciamo ad evincere solo quanto il produttore (delle parti vocali) Devin Townsend sia folle. Solo un plasticone mediocre, buono solo per coronare in sottofondo (molto in sottofondo) qualche viaggio con qualche logorroico avventore.