
7.5
- Band: SOLBRUD
- Durata: 01:34:00
- Disponibile dal: 02/02/2024
- Etichetta:
- Vendetta Records
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Un album di oltre novanta minuti è come un film di tre ore, o un romanzo di mille pagine: dev’esserci sostanza, altrimenti è solo ingombro. È quindi abbastanza legittimo accostarsi al quarto full-length dei Solbrud con qualche aspettativa, tanto più che la combo danese si è dimostrata in passato capace di proporre un black metal atmosferico personale e di fattura più che buona.
Ad alimentare le attese c’è anche il debutto di una formazione rinnovata, dal momento che l’ex frontman Ole Pederse Luk ha lasciato il progetto per dedicarsi alla sua apprezzabile avventura solista con gli Afsky. Il cambio di formazione ha spinto la band a sperimentare una nuova modalità di lavoro, adottando un espediente che qualcuno ha giustamente paragonato a quello adottato dai Pink Floyd su “Ummagumma”: “IIII” (titolo che sottintende molto più di una semplice posizione nella discografia dei Solbrud) è infatti una sorta di polittico del quale ciascun membro della band ha dipinto un pannello, che corrisponde ad uno dei lati dei vinili. Il risultato è notevole per diverse ragioni, che proveremo a riassumere.
Innanzitutto, “IIII” è un album coerente: le quattro fasi di cui si compone dialogano organicamente tra loro, delineando momenti ben distinti che si integrano a vicenda. Le diverse tonalità sonore dei due dischi – più atmosferico ed emozionale il primo, più aggressivo e sperimentale il secondo – risultano piacevolmente complementari, oltre ad offrire una sorta di panoramica su una creatività vulcanica, ma sempre coerente con se stessa.
Oltre che nei ‘colori’, “IIII” è un’opera ben pensata anche nelle architetture, incluse le strutture interne e la sequenza dei brani. In questo senso, il vero colpo da maestri è la ‘suite’ “Når Solen Brydes”, le cui quattro fasi costituiscono una sorta di ‘mini album nell’album’. Ma si possono menzionare anche le due epiche tracce d’apertura dei dischi, proemi speculari cui è affidato un intento quasi programmatico: da un lato “Hvile”, variatile percorso musicale che porta dall’Oregon alla Norvegia; dall’altro la più cupa “Ædelråd”, con ampi richiami alla second wave norvegese e un maggiore rilievo dato allo screaming acuto e dolente di David Hernan.
I due brani citati forniscono anche un buon esempio di quello che, a nostro parere, è il secondo aspetto meritorio di questo monumentale doppio album, ovvero la sua scorrevolezza. Tenendo conto della lunghezza totale, del minutaggio importante di diversi pezzi e della complessità del songwriting, la naturalezza con cui questo lavoro fluisce già dal primo ascolto costituisce da sola un forte indicatore di qualità.
Il merito è di una scrittura ispirata e genuina, elaborata ma non pretenziosa, in cui rimandi e atmosfere si susseguono come fantasie in un caleidoscopio. Le influenze di Enslaved, Wolves In The Throne Room e Ulver ne escono dominanti, ma spiccano con decisione anche un gusto per le digressioni post- e shoegaze (per esempio su “Tåge”, su certe vibrazioni quasi a-là Alcest in “Del II: Mod Afgrundens Flammehav” e sul riffing liquido di “Sjæleskrig”), oltre ad una grande libertà nell’uso della chitarra, spesso lanciata in assoli per nulla black.
Ultimo, ma non meno importante punto di merito per “IIII”, è che si tratta di un album pieno di musica ‘vera’: in novantaquattro minuti, infatti, i riempitivi sono pochissimi e non ci sono veri momenti morti.
I Solbrud si sono dimostrati all’altezza delle proprie ambizioni con un album ricco di idee cui è facile perdonare gli occasionali passaggi derivativi (soprattutto sulle battute finali) o un po’ prolissi. Ciò che resta è soprattutto la manifestazione di un estro originale, elegante e fresco.