SOLSTAFIR – Berdreyminn

Pubblicato il 23/05/2017 da
voto
8.0
  • Band: SOLSTAFIR
  • Durata: 00:57:14
  • Disponibile dal: 26/05/2017
  • Etichetta:
  • Season Of Mist
  • Distributore: Audioglobe

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Percepiti a volte come fenomeno transitorio, moda passeggera destinata ad estinguersi in ragione della volubilità del mercato, portatori di un sentire melodico astutamente ruffiano nel toccare la sensibilità tenerona del metallaro moderno un po’ hipster, i Solstafir nel nuovo album ribadiscono concetti diametralmente opposti. Ossia che sono una band vera, di un talento cristallino, che nell’approfondimento costante delle sue possibilità espressive, nel recepimento dei messaggi più o meno manifesti avvertiti nella speciale realtà naturale e sociale in cui si trovano a vivere, ha saputo pescare a ogni album ingredienti, suggestioni, emozioni destinate a esplicarsi in un melting pot d’immediata riconoscibilità, descrivente con estasiante vividezza i mutevoli panorami del selvaggio ambiente islandese. Il burrascoso split con il precedente batterista Guðmundur Óli Pálmason non ha portato strascichi sul piano artistico, l’attuale sostituto Hallgrímur Jón Hallgrímsson si è inserito bene nei meccanismi di architettura del suono e non apprezziamo sostanziali scostamenti nel tocco e nei pattern rispetto al predecessore. L’evoluzione del quartetto bilancia magnificamente minimalismo e ricchezza; il primo, è dato da un’ulteriore riduzione di propaggini arditamente metalliche, la ricerca dell’atmosfera contempla ora enfatiche esplosioni solo per selezionati tratti del percorso; l’abbondanza la si ammira negli arrangiamenti, piano e archi hanno guadagnato spazio e importanza, i loro contributi posti in dialogo agli altri strumenti con una sapienza rara, un senso della misura che permette ad ogni nota di avere un peso specifico enorme. Vibrazioni ambient, fruscii di piatti, riverberi, stuzzicate degli archi, grumi chitarristici, dondolamenti del basso quasi di sapore darkwave, combinazioni di tasti di pianoforte, groove quadrati si intersecano in indefinibili ibridazioni di post-rock, folk, metal del popolo e concettuale, progressive. Quella di “Berdreyminn” è musica che amplifica le percezioni sensoriali, capace di estraniare dal proprio mondo e trasportare in un altrove non rintracciabile sulle mappe. Si arriva a sentire ciò che hanno toccato, visto, annusato, odorato, gustato i musicisti, nella loro mente e nella realtà, quando hanno concepito i pezzi. E bastano veramente pochissime note, due tasti di piano in legatura a un guizzo di synth, il tremolare della batteria, un pulito struggente di Aðalbjörn Tryggvason: siamo all’inizio “Hvit Saeng”, il mondo pare fermarsi, un pizzico di dark sgocciolante dal piano e, con il primo riff, l’avvio di una marcia metallica che suona come una cavalcata infinita di un sol uomo fra distese intonse di neve. La meta? Perché, esiste forse? Chi lo sa. C’è lo svelarsi dolce, un risveglio per nulla affrettato da un’appagante notte di sonno, quello che annuncia il poetico divenire di “Hula”, che nei suoi dialoghi fra voce principale e cori si candida a dare il cambio a “Fjara” come pezzo-manifesto del gruppo. La combinazione di tasti fanciullina che prende piede nel mezzo  – probabilmente in arrivo da uno xylofono – ben si sposa a un clima rarefatto, dove protagoniste sono elaborazioni d’archi di foggia magnifica, la voce di Tryggvason che risuona matura, mentre smorza la rabbia in un fiume di pacifica perdizione. Vi è sempre un ritmo base, di norma piuttosto semplice, a instradare il pezzo, come accade in “Naros”: tocchetti leggeri, una salita di elettricità ed emotività calma, quindi la rottura dell’equilibrio con l’entrata in scena di chitarre incrostate di vitalità primordiale, gentilmente rozze. Lo sviluppo delle singole tracce va compreso prestando la giusta pazienza, è come se i Solstafir nei primi minuti gettassero molti semi, per poi procedere a copiosi raccolti, costituiti da mareggiate vischiose, urla che escono sempre più sicure, sinfonie e coloriture accese, aurore boreali screziate di migliaia di colori. Seppure attanagliate da una bruma impalpabile, come quella che si scorge sulla copertina. La nordicità ariosa del gruppo fa venire la pelle d’oca, irresistibile sia quando è comunicata tramite i registri di una camaleontica ballata, oppure instradata in trascinanti sventagliate fra post-metal e progressive organistico, come nei palpitanti ultimi minuti di “Bláfjall”. L’umoralità, l’accendersi e spegnersi dei tumulti esteriori e interiori fuori da rigori schematici e un disegno precostituito, leggermente si placa in “Berdreyminn”, a favore di un ordine compositivo che nulla sacrifica a un genuino senso di meraviglia indotto da ogni traccia. Alcune spigolosità, presenti almeno fino a “Svartir Sandar”, sono andate definitivamente in soffitta, ciò potrà essere motivo di rammarico per la fetta di pubblico meno disposta agli ammorbidimenti. A parte costoro, per tutti quelli che hanno seguito con favore i passi recenti dei cowboy dei ghiacci, “Berdreyminn” sarà un rassicurante compagno di viaggio per chissà quanti mesi a venire.

TRACKLIST

  1. Silfur-refur
  2. Ísafold
  3. Hula
  4. Nárós
  5. Hvít sæng
  6. Dýrafjörður
  7. Ambátt
  8. Bláfjall
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