8.0
- Band: SOLSTAFIR
- Durata: 01:02:56
- Disponibile dal: 06/11/2020
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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Nell’eterna diatriba tra qualità o morte, i Sólstafir paiono aver optato per la prima, da sempre. Oddio, non che la seconda gli faccia poi così schifo, se in qualche modo il concetto può servire da ispirazione per qualche riuscito contenuto. Preambolo e citazione di chi voi sapete ci servono giusto per ribadire un semplice concetto: “Endless Twilight Of Codependent Love” è un gran disco. Vero, è un modo banale di iniziare la recensione del settimo album della formazione ‘post-everything’ islandese, ma sincero e diretto. Perché al netto di tutte le elucubrazioni, analisi, valutazioni col bilancino di quel che si è aggiunto, tolto, ripreso, innovato, rimane il fatto che i quattro, esaurito l’effetto sorpresa, compiuta la transizione da mosca bianca underground a realtà influente e rappresentativa di dove volga lo sguardo una larga fetta del metal contemporaneo, continuino a scrivere musica di valore. Quella destinata a restare, farsi ricordare, riprendere dopo anni e goderne come fosse la prima volta. Se non di più. Sta anche qui, in fondo, la maestria di questi ‘cowboy dei ghiacci’, capaci di uscire per ora indenni – solo in senso artistico, su altri fronti le ferite ci sono state eccome – dalla (relativa) fama, per proseguire nelle loro idee, rinnovandosi senza rotture, esplorando dentro e fuori se stessi con vigore, inventiva, una poetica che, per quanto sempre più imitata, maneggiano tutt’ora con classe eccelsa.
Entriamo dunque nel vivo, per dirvi che “Endless Twilight…” mette un attimo in disparte quella fascinazione per gli archi che così ben aveva caratterizzato gli ultimi “Otta” e “Berdreyminn”, rimettendo in primo piano un chitarrismo ruvido, ispido, trascinante e dannatamente rock, nel senso più puro e classico del termine. Dandoci in pasto alcune rapaci sventagliate come non se ne sentivano da “Köld”. Un recupero di animosità intervallato però da ampie peregrinazioni nell’intimismo, questa volta suggellato da tappeti di tastiere dal timbro piuttosto diverso da quello delle ultime uscite. Nelle lunghe dilatazioni spazio/temporali, verso un racconto struggente, malinconico e dolcemente disperato i cui tratti salienti sappiamo riconoscere, voce e strumenti si comportano in modi che solo a un ascolto distratto possono sembrare i soliti. In verità, Aðalbjörn Tryggvason soprattutto si sforza di cambiare il suo modo di cantare in diversi punti, tramite un parlato sommesso che va assimilato senza fretta. Diciamo inoltre che vi sono cesure più nette di quanto si è abituati attendersi dai Sólstafir, normalmente fluidi nelle loro transizioni da turbini elettrici al minimalismo delle parentesi più soffuse. In “Endless Twilight…”, come ben esemplificato dall’opener “Akkeri”, compaiono brusche rotture, apparentemente incoerenti rispetto a quanto si stava sentendo fino a un attimo prima.
Anche nei toni languidi, romantici con dolore, di una “Her Fall From Grace”, non si riscontra quell’orecchiabilità che faceva di “Fjara” un singolo sui generis, oppure rendeva così languidamente magnetica “Dagmal”. A ciò contribuisce a maggior ragione una produzione piuttosto cruda, lontana, qui sì, parecchio, dalle rifiniture piacevolissime dell’ultimo trittico di album. Ancora più difficile di prima è ritrovare strofe trascinanti e progressioni che sappiano immediatamente ammaliare. Nonostante non siano assenti, come si palesano riff pronunciati, ad effetto, come quello di retrogusto hard blues di “Alda Syndanna” e quelli che fan sorgere le tormenta in “Úlfur”. Oppure la partenza black metal o suppergiù di “Dionysus”. Una delle cose più ‘fuori dal seminato’ è l’impronta colta e sofisticata di “Or”, brano che si fa notare per questi toni da jazz club dei ghiacci e, crediamo, una delle canzoni che produrrà la maggior raccolta di streaming, tra quelle in tracklist. Se i primi ascolti potrebbero apparire talvolta farraginosi, occultando melodie enfatiche e di ‘presa’ in modo quasi coscientemente voluto, per verificare se i propri estimatori avessero desiderio vero di andare più a fondo, nella questione, poi, credeteci, ci si abitua. Ed esce una qualità media delle composizioni eccellente, con nulla da invidiare alla discografia passata. Classifiche di merito con gli album già editi non ce ne sentiamo di farle, mentre è caldamente consigliato provare individualmente l’esperienza d’ascolto. “Endless Twilight Of Codependent Love” (titolo tanto ruffiano quanto bellissimo, concedetecelo) butta in un angolo tutto l’effimero e l’inutile di certe grigie giornate, regalandoci un necessario squarcio di bellezza.