7.5
- Band: SOLSTAFIR
- Durata: 00:57:24
- Disponibile dal: 29/08/2014
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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Un viaggio lungo un giorno, ventiquattro ore esatte. In gruppi di tre, otto periodi di tempo da trascorrere assieme ai cowboy venuti dal ghiaccio, gli islandesi Solstafir. Ovunque vadano, ormai, i quattro pard si portano dietro il loro tormentone d’immagini naturalistiche ridondanti e contrastanti – cenere, fuoco, gelo, geyser, pianura artica, pack polare – per incanalare la loro musica, sempre imprevedibile e cangiante, in una libertà espressiva che fa rabbrividire, non solo per il clima tipico della loro Reykyavik, ma anche se pensiamo alla ruvida partenza dell’esordio “I Bloði Og Anda” e all’intrepida evoluzione che li ha portati fino a questo quinto “Ótta”, ad oggi culmine di una carriera in crescendo e quanto mai brillante. A dire il vero, non sono tante le differenze intercorrenti tra il lavoro qui in esame ed il precedente exploit qualitativo intitolato “Svartir Sandar”: lo stile è rimasto lo stesso, ovvero una pressoché indefinibile unione di (non-)metal, post-rock atmosferico e hard rock sui generis, che risulta praticamente unica nel suo essere, soprattutto grazie all’inconfondibile timbro vocale e al cantato in lingua madre di Aðalbjörn Tryggvason, vocalist e frontman che certamente non difetta di personalità e capacità interpretative. Ma se “Svartir Sandar” ci mostrava una nuova identità della band, oggi, questo “Ótta” ce ne presenta nuove abilità, forse mai come in questo disco messesi in evidenza: in particolare, ci riferiamo alla riuscita messa in musica di sensazioni ed emozioni che, bene o male, tutti noi possiamo vivere o dire di aver provato a viverle, nonostante le più lontane posizioni geografiche sul pianeta, che ci possono dividere. Lo scorrere del dì e della notte, suddiviso in periodi di tre ore, così come facevano nell’antichità alcuni ordini monastici e così come si usava fare proprio in Islanda, vi apparirà magicamente visibile e chiaro (o scuro, vedete voi) durante la quasi ora di ascolto del disco, partente in sordina e con tantissima atmosfera nei primi due episodi, quelli relativi alla piena notte e alle ore piccole, “Lágnætti” e la title-track, densissime di pianoforte, distorsioni ambient, voce e strofe pacate e qua e là, come il presentarsi di un improvviso incubo notturno, andature ipnotiche coadiuvate da sapienti arrangiamenti d’un quartetto d’archi; e prosegue poi così, l’album, con il vispo e languido risveglio affidato all’ottima “Rismál” e con la ripresa dell’attività giornaliera decretata dalla ‘facile’ accessibilità di “Dagmál”, molto probabilmente l’episodio più radio-friendly dell’opera. Le seguenti, pienamente pomeridiane, “Miðdegi” e “Nón” vanno identificate come i pezzi più violenti di “Ótta”, dove per ‘violenza’ si intendono riff hard-rock prodotti con gusto underground e ‘cantinaro’. I quattro nordici, ormai così giunti alla piena maturità, si sono affidati parecchio ad elementi esterni alla formazione – il già citato quartetto d’archi e il pianista Halldor A. Bjornsson sono certo da menzionare – ricavando grazie ad essi soluzioni ancora più introspettive e personali rispetto al passato, arrangiando le proprie creazioni in maniera certosina e multi-strato, tanto da far scoprire dettagli nuovi ad ogni (attento) ascolto. Proseguendo il viaggio nella tracklist, siamo dunque arrivati nel crepuscolo della lunga notte autunnale d’Islanda e l’incredibile ballata per voce, piano e archi “Miðaftann” è perfezione pura, quando abbinata ad immagini epiche di solitudine e decadenza notturna, un vero capolavoro. La chiusura di giornata è affidata, infine, al silenzio fuori ordinanza di “Náttmál”, undici minuti di struttura compositiva in divenire, non particolarmente immediati e forse i più deludenti del platter, ma di certo tutto fuorché banali. La Season Of Mist punta molto sui Solstafir, a nostro giudizio a ragione, sebbene la musica di qualità e ricercata non sia esattamente quella che più assicura successo. Staremo a vedere cosa succederà nei prossimi mesi, intanto a noi “Ótta” è piaciuto leggermente meno di “Svartir Sandar”, ma è chiaro che chi ha apprezzato la precedente pubblicazione made in Iceland non avrà nessuna difficoltà a gradire – e molto! – anche quella nuova. Musica perfetta per l’autunno che arriva.