4.5
- Band: SONATA ARCTICA
- Durata: 00:47:42
- Disponibile dal: 24/10/2014
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Ma perché fanno queste cose? Va bene che le band non possono tutte imparare dagli errori degli altri, ma almeno le label (soprattutto i colossi come Nuclear Blast) dovrebbero rendersi conto di quando un prodotto, oltre ad essere inutile, è anche potenzialmente dannoso. Già, non vi facciamo mistero di non avere apprezzato per nulla la riedizione del caposaldo del power melodico “Ecliptica”, arcinoto debutto targato 1999 dei Sonata Arctica. Ma, ci chiediamo, come è possibile apprezzarlo? Forse l’unica è essere fan dei Sonata solo dall’ultima ora, non avere mai ascoltato i dischi più indietro di “Unia” (orrore!!) ed essere quindi nel giusto mood per trovare carino (niente di più) questo disco; ma per coloro che ancora nello scorso millennio rimasero folgorati dalla freschezza, dall’esplosività, e dalla spontaneità dell’originale “Ecliptica”, qui ci sono solo amarezza e disappunto. Infatti “Ecliptica – Revisited, 15th Anniversary Edition” dell’originale tiene solo i titoli delle canzoni. Cosa è scomparso? La freschezza, l’esplosività e la spontaneità. La prima viene sgretolata dall’inesorabile avanzare del tempo: le melodie, i fraseggi e i ritornelli sono fissi oramai da 15 anni nella nostra mente, e sperare che zuccherosi arrangiamenti di tastiere bastino a ‘rinfrescare’ un album che ascoltiamo ad intervalli regolari da un decennio e un lustro è quantomeno ingenuo. L’esplosività è cancellata dalla scelta dei nuovi suoni, con le chitarre levigate e iperprodotte alle quali è tolta fin troppa importanza e le tastiere, ora più eleganti e soffuse, messe invece troppo in evidenza. Infine, più grave di tutto, abbiamo l’abbattimento della spontaneità, caratteristica fondamentale dell’originale. La scelta di riproporre in toto il debutto, soprattutto dopo il tentativo di ritorno al passato operato dalla band con “Pariah’s Child” (ci piacque, vi ricordate?), sa assolutamente di manovra commerciale per tentate di dire ‘siamo ancora quelli di un tempo’, senza riuscirci e dando solo l’impressione di grattare il fondo del barile. Ma poi… i Sonata Arctica sono ancora la band di un tempo? Assolutamente no. Il suono si è fatto più ricercato, fortemente influenzato da correnti che sfiorano il progressive, il sinfonico e, perché no, il metal melodico quasi di ‘marca’ Frontiers. Riproporre l’immediato power dei tempi, quello derivante dagli Stratovarius di “Visions” adesso, non è a nostro avviso un ‘essere come un tempo’. E non ci importa, sinceramente, degli scivoloni più macroscopici come Tony Kakko che non riesce a raggiungere nemmeno la metà della potenza che aveva da adolescente su “Blank File”: il tempo passa anche per chi ha i capelli rossi e non possiamo fargliene un torto. Quello che veramente ci scontenta è che per stare dietro alle cose che necessariamente sono cambiate in quindici anni si debba alterare quasi completamente i suoni. Che senso ha togliere i cori dalla già citata “Blank File”? Quel ‘They know your life / They have a file about you / They build your life’ era il manifesto dell’album, l’energia del power che filtrava attraverso melodie che segnavano nuovi livelli di accessibilità. Adesso ci rimane solo un Kakko che canta, più basso, un pezzo che un tempo li rese famosi. E lo stesso accade con “Letter To Dana”, stravolta proprio nel cantato, o nell’altro ex-masterpiece “Fullmoon”, adesso d’impatto come un fucile ad aria compressa, ma che un tempo con il suo ‘She should not lock the open door / Run away, run away, run away’ ci ammaliò senza scampo. Ammettiamo che almeno “Kingdom For A Heart” e “Replica” si possono ascoltare e non si sono infiacchite più che tanto, ma è veramente un palliativo, forzato forse di più dall’amarezza che proviamo per quelle altre canzoni che veramente per una buona riuscita del brano. Che altro dirvi? Le somme tiratevele voi. Ah, no, vi segnaliamo anche che la copertina verde acquamarina ‘nuova’ non ci piace per nulla.