7.0
- Band: SORCERER
- Durata: 00:54:14
- Disponibile dal: 24/03/2015
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Nome comune di metal band quello dei Sorcerer (stregone), e vestigia sonore eludenti qualsiasi tipo di sorpresa. Si parla infatti di doom metal di matrice classica, in arrivo da una delle culle predilette di questo tipo di musica, la Svezia. I nostri stregoni approdano all’esordio ufficiale sulla lunga distanza al termine di una storia tormentata, comune a parecchi ensemble nati negli Anni ’80 e poi passati attraverso le forche caudine di split, incomprensioni, sfortune varie e assortite, necessità e/o desiderio di dedicarsi ad altro. La data di fondazione di quest’ennesima filiazione nordica devota al lato fosco e corrucciato del metal risale al 1988, e in seguito il gruppo non è stato in grado di proporre null’altro di un paio d’ep, nell’89 e nel ’92, oltre a un paio di compilation riepilogative, “Sorcerer” e “Heathens From The North”, comprendenti il materiale dei demo e altre sporadiche registrazioni. Doveva esserci del buono in queste composizioni, se la Metal Blade si è mossa per pubblicare questo “In The Shadow Of The Inverted Cross”. Diciamo anche che i nomi coinvolti, pur non essendo di prima grandezza, si riferiscono a musicisti con una rispettabile carriera alle spalle: abbiamo infatti al basso Johnny Hagel, nei Tiamat all’epoca di “Clouds” e “Wildhoney”, Anders Engberg, cantante dei Lion’s Share sui primi tre album, Kristian Niemann, chitarrista dei Therion tra “Deggial” e “Gothic Kabbalah”. Sono poi della partita il batterista Robert Iversen e, alla seconda sei corde, Peter Hallgren. La copertina grigia farebbe pensare a una miscela di afflizione e pesantezze sfinenti, invece i Nostri hanno forgiato un disco piuttosto melodico e dinamico per gli standard doom, guardando prima di tutto in casa propria, quindi agli immancabili Candlemass, per proseguire quindi la loro esplorazione leggermente più indietro nel tempo, omaggiando Ronnie James Dio nell’incarnazione solista e nel periodo dietro il microfono dei Black Sabbath. L’approccio compositivo pende più verso l’hard rock rispetto al metal tout-court, la sezione ritmica dà un sostegno misurato, è una semplice cornice per le scorribande chitarristiche e linee vocali molto enfatiche ed oscuramente epiche, come il sommo maestro di “Holy Diver” ci ha insegnato. I Sorcerer dimostrano di che pasta sono fatti già dall’opener, “The Dark Tower Of The Sorcerer”; un riff portante memore delle costruzioni dei Candlemass negli anni con Robert Lowe al microfono, tempi medio-lenti senza molte variazioni di passo, voce immaginifica e melodie chitarristiche in controluce a punteggiare di barlumi di arcobaleno la foschia predominante. E’ chiaro quanta importanza la band dia ai chorus, che in tutti gli episodi della tracklist sono studiati per essere assimilati entro pochi passaggi sullo stereo. Con “Sumerian Script” il baricentro si sposta su sonorità più dilatate, si fa strada l’indole fantasy-arcana del combo, in questo caso capace di evocare un ecosistema sonoro caro tanto agli uomini di Leif Edling all’epoca di “Ancient Dreams”, quanto al Dio dei primi due album. Si inizia a rilevare, però, anche il difetto principale di questo disco: la prolissità. I Sorcerer sono bravi nell’indovinare il giro chitarristico giusto e a entrare subito in sintonia con i gusti degli amanti del doom metal più ortodoso, ma non riescono a sintetizzare le loro idee in una durata adeguata. “Lake Of Lost Souls” ad esempio è troppo rallentata, e il refrain è ripetuto con eccessiva insistenza; vista la linearità del brano, inoltre, una netta sforbiciata alla durata sarebbe stata doverosa. “Exorcise The Demon” indica invece la strada da seguire: attacco fulminante con voce alta e graffiante, cambi di tempo e atmosfera avvincenti, botta e risposta vocali tra linee principali aggressive e cori epici, un break centrale angosciante e malevolo, infine un riaggancio al tema iniziale con assoli rainbowiani in bella evidenza. La title-track e “Prayers For A King” ritornano a crogiolarsi nella lentezza e in un’elegante epicità più da Anni ’70 che da Anni ’80. La prima si ascolta bene ma non emoziona più di tanto, mentre la seconda ha un’eleganza non banale, esaltata da un’ottima concatenazione di arpeggi e lunghi riff incupiti. Anche qui si tira un po’ per le lunghe, ma ci possiamo passare sopra. Il quadrato e grintoso mid-tempo di “The Gates Of Hell” si candida al contrario a ipotetico singolo di presentazione dell’album, con i Sorcerer che si spogliano dei panni di santoni del doom per colpire duro tramite ritmiche arrembanti e un chorus martellante. L’ultimo capitolo “Pagans Dance” si divide fra dannazione e riappacificazione, in un accattivante dissidio che reclama ancora una volta l’influenza di Dio e i Solitude Aeturnus meno intristiti. In ultima analisi, “In The Shadow of The Inverted Cross” è un disco soddisfacente per gli amanti dell’heavy metal rallentato e corposo, anche se i Sorcerer avrebbero le capacità per fare ancora meglio. Dovessero oliare con più cura alcuni meccanismi, evitando ridondanze, potrebbero sfornare in futuro gioielli di più elevata caratura di quelli prodotti oggigiorno.