7.0
- Band: SOULBURN
- Durata: 00:50:12
- Disponibile dal: 14/11/2014
- Etichetta: Century Media Records
- Distributore: Universal
Le referenze sono importanti. I Soulburn ne hanno da vendere nell’ambito del death metal: creati a metà anni ’90 durante un periodo di pausa degli Asphyx dalle allora colonne della formazione olandese, il chitarrista Eric Daniels e il batterista Bob Bagchus hanno lasciato una traccia fugace di sé con il primo album “Feeding On Angels” del ’98, per ripiombare nell’ombra subito dopo. Ciò è accaduto per la rimessa in moto della più rodata band principale, che negli anni 2000 ha ripreso a togliersi soddisfazioni sfornando nuova musica a intervalli regolari e rendendosi protagonista di una corposa attività live. Fattisi notare nel frattempo anche per l’ottimo esordio dei Grand Supreme Blood Court, i due musicisti dei Paesi Bassi hanno in tempi recenti abbandonato gli autori di “The Rack” e “Deathhammer”e si sono potuti impegnare a tempo pieno nei Soulburn. Sono della partita anche il cantante/bassista Twan van Geel, conosciuto per essere il chitarrista dei Legion Of The Damned, e l’altro chitarrista Remco Kreft, anch’egli protagonista di una fugace apparizione nei Grand Supreme Blood Court, aggiuntosi a dire il vero a registrazioni ultimate. A distanza di sedici anni dall’esordio, i Soulburn sono tornati per restare e hanno sfornato un full-length dai toni old-school ma che ripercorre solo in parte i dettami del death metal europeo in cui si sono cimentati per molti anni i musicisti in line-up. La matrice epica è in primo piano, i cadenzati guerreschi, veri e propri inni grondanti sangue e rumori di battaglia, dominano all’interno di una release feroce, intransigente, dove alla pesantezza del death si aggiunge l’anima black metal nordeuropea e il thrash maligno di primi Slayer e Possessed. I Bathory di “Blood Fire Death” vengono resuscitati nelle tracce di “The Suffocating Darkness”, sono un’ombra minacciosa e incombente che accompagna l’ascoltatore in un ferale viaggio nelle barbarie. Procedendo nell’ascolto affiorano altre influenze Anni ’80-Anni ’90, e fanno tutte riferimento ai numi tutelari del metal estremo europeo e ai più credibili portatori di epos in campo death metal. Gli immancabili Celtic Frost riecheggiano nel chitarrismo ruvido e spigoloso di Daniels e la produzione di Dan Swanö va a dar man forte alla natura low-fi del lavoro, sottolineando la cupezza da lercia cripta sconsacrata che permea ogni nota. Le arie in sottofondo fanno volare nel Valhalla come i momenti migliori di Unleashed e Unanimated, e pur non denotando una particolare elaborazione delle linee melodiche i Soulburn riescono ad essere sufficientemente evocativi e immaginifici. Uno dei fattori più convincenti dell’opera è il cantato isterico e urlato di van Geel, mai cimentatosi alla voce in passato e capace di mettersi sullo stesso piano, nei frangenti più concitati, dell’impareggiabile operato di Martin Walkyier nei Sabbat, non tanto per timbro quanto per la metrica a dir poco forsennata. Il songwriting si attesa su buoni livelli, penalizzato soltanto da un filo di omogeneità di troppo: quello che per noi è un difetto, però, per molti ascoltatori potrebbe essere un pregio, perché il disco suona compattissimo e senza attimi di respiro, nonostante una lunghezza media dei pezzi superiore ai cinque minuti. I brani più avvincenti, a nostro avviso, sono sia quelli dove la band non si pone remore nel pestare sull’acceleratore e le sei corde diventano delle motoseghe impazzite intente a collezionare mutilazioni, sia quelli dove si insiste su partiture doom asfittiche e sepolcrali. In tali occasioni è difficile non risentire un certo pungente odore di Asphyx, forse perché alla fine Bagchus e Daniels proprio su questi suoni si trovano maggiormente a loro agio e riescono ad avere i migliori slanci creativi. Confessiamo infatti di avere provato un sommo godimento all’ascolto di “Hymn Of The Forsaken II” e “I Do Not Bleed For Your Crown Of Thorns”, veri e propri pugni nello stomaco, con una qualità del riffing e un impeto da primi della classe. Altrove affiora un po’ di mestiere e si ha qualche reiterazione in eccesso dei medesimi schemi, ma “The Suffocating Darkness” merita sicuramente una chance per chi adora il death metal vecchio stampo, sporco, mefitico e cigolante.