7.5
- Band: SOULFLY
- Durata: 00:55:40
- Disponibile dal: 30/03/2004
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Universal
Spotify:
Apple Music:
Un abisso. Un abisso di creatività ed ispirazione esiste oggi tra i Soulfly e i Sepultura. E suppongo vi starete chiedendo se sia mai necessario ribadirlo ancora o se sia utile fare questi accostamenti banali e, soprattutto, inutili…ebbene, anche noi propendiamo per il no, eppure la distanza attuale tra i due gruppi, a livello attitudinale e compositivo, è tale da lasciare sbalorditi e da costringerci a rispolverare l’ingombrante paragone, anche solo per un attimo. Max Cavalera, con il quarto lavoro del suo progetto solista, perché ormai è di questo che si deve parlare, dimostra ulteriormente come sia in grado di “fare band da solo”, fornendo così un fondo di verità ai sospetti riguardanti il fatto che i Sepultura fossero principalmente sorretti dal suo spirito, ed ora orfani di qualsiasi anima. “Prophecy” viene definito, dallo stesso Max, come un disco diverso dai precedenti, portato a strizzare l’occhio all’astratto (ma neanche tanto) concetto di world music, sonorità senza precise regole, abbraccianti diverse culture e tradizioni, miscellanee di influenze e sperimentazioni senza confine; tutto ciò ci sembra un tantino esagerato, a dire il vero, in quanto i Soulfly rimangono saldamente incatenati alla causa che stanno portando avanti fin dalla nascita, ovvero quella di un metallo viscerale, passionale, ricco di tribalismi, moderno e libero, sebbene, analizzando più attentamente il nuovo disco, si nota una convinta propensione alla ricerca di sonorità più raffinate, impregnanti di classe una musica che ne ha poco bisogno, creata da una persona il cui carisma è conosciuto ai più. Carisma che ha permesso al leader dei Soulfly di stravolgere per l’ennesima volta la line-up della band, mantenendone comunque intatti l’approccio e l’intensità esecutiva: decisivo, a mio avviso, l’acquisto di Marc Rizzo dagli Ill Nino, un chitarrista che spazia con naturalezza dal flamenco al reggae, dal rock al metallo pesante, e che ha saputo dare un tocco personale alle composizioni qui presenti; rientra dietro le pelli, invece, il redivivo Joe Nunez, già presente su “Primitive”; e poi, dulcis in fundo, ecco spuntare la presenza di ben due bassisti: Bobby Burns (ex-Primer 55) e un certo Dave Ellefson, per chi non lo sapesse l’unica persona in grado di stare a fianco del “peperino” Dave Mustaine durante tutta la parabola storica compiuta dai Megadeth, e qui presente in cinque pezzi. Bene, i pezzi, appunto: premettendo che di brani scadenti non ce ne è neanche l’ombra, la prima parte del disco ci presenta i Soulfly sotto la loro consueta veste, ovvero riffoni monolitici e ben cadenzati, la voce di Max che detta i tempi nel suo inconfondibile stile e declama chorus anthemici dall’immediato impatto, e sono ottime, in questo senso, la title-track, “Living Sacrifice” e “Mars”; le solite incursioni acustico-percussive, poste solitamente a chiusura di brano, si trovano in parecchie song, come alcuni assoli laceranti davvero ben eseguiti, ma è soprattutto nella seconda metà di “Prophecy” che riescono a diventare incisive, toccanti e fondamentali nell’economia di questo superbo album: basti ascoltare “Moses”, un reggae-metal ipermelodico che, se l’intuito non m’inganna, potrebbe diventare un hit fenomenale da discoteca rock…oddio, roba che i Dub War facevano già anni fa, comunque assolutamente uno dei picchi del platter! E ci sarebbe davvero moltissimo altro da raccontare sui contenuti di questo quarto capitolo…il contributo di Meia Noite alle percussioni, la bella cover degli Helmet, “In The Meantime”, l’immancabile strumentale auto-celebrativa, “Soulfly IV”, la confermata presenza della brava Asha Rabouin (voce solista in “Wings”), la collaborazione con un musicista serbo, tale Ljubomir Dimitrijevic, in parecchie track, l’utilizzo di cornamusa e fiati…aspetti che contribuiscono in maniera decisa a rendere “Prophecy” un lavoro degnissimo d’acquisto e che, probabilmente, lo pongono solo un gradino sotto all’omonimo, tellurico debutto del combo brasileiro-americano. Ottimo e grandissimo Max, come sempre! Che dire d’altro, se non: the song remains insane…