7.5
- Band: SOUNDGARDEN
- Durata: 00:52:30
- Disponibile dal: 12/11/2012
- Etichetta:
- Universal Republic
- Distributore: Universal
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“I got nowhere to go ever since I came back,” dice Chris Cornell nel primo pezzo di questo nuovo “King Animal”, chiamato non a caso “Been Away Too Long” e posto come singolone di apertura. Sta cantando di Seattle, la sua patria natale, sua, dei Soundgarden e di quello che venne chiamato comunemente grunge. Nessun altro posto sembrava donare serenità e passione come quella città, dove ritrovare vecchi amici come Kim (Thayil), Ben (Sheperd) e Matt (Cameron), nessun altro progetto poteva essere bramato così come quello sotto il moniker Soundgarden, non dopo Audioslave, la carriera solista e (il fallimentare) “Scream” del 2009 con Timbaland. E da un tumulo di ossa impolverate ecco venire fuori quello che è “King Animal”, un grande corollario della carriera di Cornell e dei suoi vecchi compari di camerino. Liriche e musiche sono sintomatiche del ritorno, e della voglia di rinascere, dei vecchi Soundgarden. Forse a qualcuno questa storia puzzerà di dollaroni, e forse è così, ma se tutte le reunion portassero a nuovi dischi così, allora che siano le benvenute! Non si è più negli anni dei cucchiai scaldati e delle sbornie, quel tipo di grunge è svanito nella decade dei nineties. Ora a suonare sono pressoché sobri quarantenni e quanto di grunge possono dare è contenuto in questi brani: confessioni, valutazioni, ricordi che si ovattano nei riff, nei pattern di basso-batteria e nelle liriche di questo disco del ritorno. Ma, esteticamente parlando, nulla è cambiato. Sentire Cornell urlare come nel secondo brano, “Non-State Actor” fa ancora gasare l’audience. Thayil mostra ancora di sapere come si fa a scrivere riff cool dal primo ascolto e la coppia Cameron-Sheperd cementa l’architettura perfetta dei brani. Lontani dall’epicità del capolavoro “Superunknown”, lontani anche dalla potenza di “Badmotorfinger”, i brani si presentano con più semplicità, rendendo “King Animal” molto diretto, frutto dell’esperienza maturata con gli anni. “Time is my friend … well it ain’t, it runs out” dice Cornell in “Bones of Bird”, e risulta quasi toccante alla luce di tutto ciò. Non c’è una vera e propria hit monumentale, come negli altri dischi, anche se forse questo è da imputare alla data di uscita più che al valore del disco in sé, e delle canzoni, che, possiamo dirlo, funzionano quasi tutte. Senza raggiungere picchi stellari, ma tutte lasciano un qualcosa di piacevole e la loro scorrevolezza è un punto forte di questo nuovo lavoro. “Black Saturnday” non è “Fell On Black Days”, ma funziona benissimo. “A Thousand Days Before” non è “Black Hole Sun” ma è da greatest hits della band. “King Animal” finisce con una frase simbolica così come era cominciato: “Don’t know where I’m goin’..I just keep on rawling / I heard an echo but the answer has changed / From the word I remembered / That I started out sayin’ / Life is cheating if you’re not pulling oars / The current is leaving..” (nella finale “Rawling”). Ne è passata di acqua sotto i ponti dal lontano ultimo disco dei ‘Garden (’95-’96): risentire ancora quei riff, quella voce, quel groove forse fa sentire vecchi, anche se di solo un paio di generazioni fa, ma fa anche ritornare a sorridere, abbassare il finestrino, appoggiare il gomito e alzare il volume. Difficilmente si poteva chiedere di meglio ad una reunion. Oggi.