
10.0
- Band: SOUNDGARDEN
- Durata: 01:10:13
- Disponibile dal: 08/03/1994
- Etichetta:
- A&M Records
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Anche se nell’indice di popolarità guidato dagli algoritmi si giocano con gli Alice in Chains il gradino più basso del podio dei ‘Fantastici 4 del grunge’ (dietro ovviamente a Nirvana e Pearl Jam), è pur vero che i Soundgarden non sono stati secondi a nessuno nello sviluppo del cosiddetto ‘Seattle sound’, potendo vantare ben quattro uscite tra il 1987 e il 1989 (due EP per la Sub Pop, il debut “Ultramega OK” e l’esordio su major “Louder Than Love”).
Sfortuna volle che il loro primo capolavoro, “Badmotorfinger”, sia uscito poche settimane dopo due album spacca-classifiche come “Nevermind” e “Ten” – senza contare il doppio “Use Your Illusion” dei Guns N’ Roses, per cui apriranno il relativo tour – restando ai margini della Top 40 di Billboard, ma la rivincita arriverà tre anni più tardi con gli interessi.
Nel 1994 infatti il grunge ha definitivamente soppiantato l’hair metal come fenomeno di massa, ma i suoi protagonisti non se la passano bene: i Nirvana cessano di esistere con la morte di Kurt Cobain ad aprile, gli Alice In Chains sono costretti a cancellare il tour con i Metallica per la dipendenza da eroina di Layne Staley, mentre i Pearl Jam boicottano il sistema dall’interno rifiutandosi di girare video e litigando con Ticketmaster per i prezzi di concerti; il terreno è spianato per Cornell e soci, che puntualmente si presentano nel giorno della festa della donna (in contemporanea con “Downard Spiral” dei Nine Inch Nails) con “Superunknown”, quarto disco entrato dritto al numero uno arrivando poi a vendere nove milioni di copie.
Il principale artefice del successo è lo stesso Cornell, compositore di più di metà dell’album, ma ognuno dei quattro musicisti ha modo di dire la sua, compreso il batterista Matt Cameron (successivamente nei Pearl Jam) che mette la firma sull’allucinato stoner rock di “Mailman” e la più mistica “Fresh Tendrils”, così come Ben Shepherd porta un tocco esotico con “Head Down” (in maniera non dissimile a quanto fatto circa tre decadi prima dai Beatles) e “Half”, quest’ultima cantata dallo stesso bassista. Più contenuto in quest’occasione, rispetto al passato, l’apporto del geniale chitarrista Kim Thayil, il cui estro creativo risulta più circoscritto rispetto al precedente lavoro (l’unico pezzo a sua esclusiva firma è la ‘punkettara’ “Kickstand”) in favore di un sound più mainstream; il suo inconfondibile riffing marchia comunque a fuoco tutte le tracce, dalle ritmiche sabbathiane di “4th Of July” al solo allucinogeno della title-track, confermando il guitar hero di origini indiane come uno dei degni eredi di Tony Iommi.
Come anticipato, la parte del leone la recita il frontman, dall’apertura affidata a “Let Me Drown” alla tristemente profetica “Like A Suicide”; a decretare la fortuna di “Superunknown” sono però in particolare i cinque singoli: se l’acid ballad “Black Hole Sun” diventerà una delle dieci canzoni più trasmesse in radio del decennio (nonché uno dei video più iconici della storia di MTV), altrettanto efficaci sono i tempi in sette quarti di “Spoonman” (brano originalmente composta per il film “Singles” e in cui trova posto un solo di cucchiai da parte del performer Artis The Spoonman, ispiratore della canzone) e “The Day I Tried To Live”, un inno di speranza ricoperto da una patina di malinconia in pieno stile grunge; meno famose, ma non meno importanti, i tempi dispari di “My Wave” e l’ipnotica “Fell On Black Days”, ennesimi classici minori partoriti dalla commistione tra Cornell e Kim Thayil.
Nonostante la durata monstre – con ben quindici pezzi per più di un’ora e dieci di durata (senza contare la bonus track “She Likes Surprises”) – non c’è un solo passaggio a vuoto: l’apice artistico e commerciale presenterà presto il conto a Cornell e soci portando la band allo scioglimento tre anni dopo, ma ancora oggi “Superunknown” resta da annoverare tra gli apici della musica rock.