8.5
- Band: SPAWN OF POSSESSION
- Durata: 00:38:47
- Disponibile dal: 14/01/2003
- Etichetta:
- Unique Leader
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C’è stato un momento, a cavallo del nuovo millennio, in cui il concetto di death metal non poteva essere scisso dall’attività della Unique Leader, etichetta fondata dal compianto Erik Lindmark – già leader dei mostruosi Deeds of Flesh – e responsabile in quegli anni di alcune delle scoperte più eccitanti e formidabili di un periodo certamente transitorio per la scena, stretto fra l’eco ancora udibile dei fasti passati e il rilancio ‘su larga scala’ che avverrà di lì a breve con la definitiva affermazione di Nile, Dying Fetus e Decapitated e la rinascita di numerosi mostri sacri (Cannibal Corpse, Deicide, Grave, ecc.), il quale spianerà poi la strada al ricambio generazionale e alla riscoperta di suoni e immaginari retrò da parte delle nuove leve odierne.
Una contestualizzazione che, nel caso di questo best seller della label statunitense, ritornato oggi attualissimo grazie alla nascita del progetto Retromorphosis, ne chiama subito un’altra, portandoci a parlare del curioso fenomeno avvenuto in Svezia due decenni fa, coincidente con una mini ondata di gruppi affatto interessati a celebrare lo stile nazionale, rispolverando magari il caro vecchio pedale HM2, in favore di un approccio decisamente più tecnico, convulso e – in altre parole – americano.
Oltre alla prepotente apparizione degli Spawn of Possession, infatti, sono sempre di quegli anni gli exploit di Aeon (all’epoca dell’esordio “Bleeding the False”, anche loro su UL), Anata, Throne Aeon e Visceral Bleeding, per una tendenza che, se col senno di poi non si può certo dire abbia avuto vita lunga da quelle parti, complice il tramonto generale del filone ‘brutal’, ha saputo comunque regalarci qualche perla, con “Cabinet” a rappresentarne uno degli esempi più fulgidi e ispirati.
Undici tracce per quaranta minuti scarsi di musica che, riprendendo il discorso dei demo “The Forbidden” (2000) e “Church of Deviance” (2001), si intrecciano indissolubilmente in un groviglio di soluzioni tanto frenetiche quanto lucide, in cui un tecnicismo da funamboli funge da cassa di risonanza per un’aggressione palpitante e tutt’altro che fredda o asettica.
Jonas Bryssling (chitarra) e Dennis Röndum (voce, batteria), menti principali della band di Kalmar, raggiungono in questi solchi una quadra pressoché perfetta fra modernità e tradizione, portando gli insegnamenti dei loro idoli (su tutti, Suffocation, Cryptopsy e Atheist) su livelli di impatto e intensità altri, spaventosi oggi come allora, senza però mai abbracciare le esasperazioni della frangia più gutturale del genere, e riuscendo anzi a conferire all’insieme un’inaspettata e contagiosa patina di orecchiabilità.
Merito delle pillole groovy disseminate strategicamente in ogni pezzo, col guitar work che da arzigogolato e sinuoso sa farsi galoppante e lineare in poche frazioni di secondo, di una sezione ritmica ultra-dinamica, il cui incedere pneumatico si traduce in blast-beat, ripartenze e stop’n’go a dir poco fluidi e funzionali allo sviluppo dei brani, e di un approccio vocale ‘a mitraglia’ che – di fatto – ha poi influenzato la scena per gli anni a venire (dagli Hour of Penance agli Archspire), infondendo l’ascolto di un senso di tensione e movimento che dal cervello si propaga direttamente ai muscoli del corpo.
Un gioco di incastri encomiabile per gusto, inventiva e raffinatezza, il quale verrà poi espanso nei successivi “Noctambulant” (2006) e “Incurso” (2012) arrivando a sfiorare lidi progressive, ma che qui preserva ancora tutta la ferocia e la sporcizia di un gruppo sguazzante nell’underground duro e puro, con episodi del calibro di “Swarm of the Formless”, “Hidden in Flesh”, “Spawn of Possession” e “Church of Deviance” a restituire una ‘botta’ di proporzioni inaudite.
Persino i testi a sfondo horror, fra vicende splatter e storie di possessione e blasfemia, riescono a rivelarsi meno banali o scontati del previsto, a riprova di un approccio dove niente – produzione inclusa – è lasciato al caso.
In buona sostanza, un’opera fondamentale per comprendere ciò che per diverso tempo è stato il death metal anni Duemila, qui sintetizzato e riproposto ai suoi massimi.