8.0
- Band: SPELL
- Durata: 00:38:27
- Disponibile dal: 28/10/2022
- Etichetta:
- Bad Omen Records
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C’è un filone del metal classico, gentile, ponderato, a suo modo aggraziato e misurato negli atteggiamenti, che da qualche tempo è riemerso alle attenzioni del pubblico, dopo essersene rimasto per conto suo in un angolino. È un heavy metal variopinto, dalle striature dark, influssi progressive, fascinazione manifesta per il rock classico e una generale impostazione che può suonare anche molto datata, in strutture e melodie, pur permanendo in un contesto metal chiaro e non discutibile. Se i protagonisti più scintillanti di tale concezione sonica sono probabilmente i Sumerlands del magnetico “Dreamkiller”, ecco che gli Spell possono con tutta ragione sedersi allo stesso tavolo e ragionare assieme di melodie sottili e stranianti, ghirigori oscuri nella nebbia, vocalizzi esili e tentatori, cavalcate leggere che ricordano tanto la NWOBHM quanto il power metal nordico ottantiano.
Gli Spell sono canadesi, nascono come terzetto e diventano un duo, formato dai fratelli Al e Cam Lester nei due anni intercorrenti il fortunato terzo disco “Opulent Decay” e questo “Tragic Magic”. Non arrivano da perfetti sconosciuti a questo traguardo, tra i nomi caldi dell’underground ci stavano già da qualche tempo, in virtù di un suono morbido e articolato, ma molto diretto, e di un songwriting che arriva dritto al punto e sa confezionare singolari hit, come accaduto in particolare nell’album di due anni fa. Perso per strada il chitarrista Graham McGee, i fratelli Lester hanno provveduto a un’ampia rivisitazione dello Spell-sound, uscendosene con qualcosa di ancora meno allineato e votato a una tangibile sperimentazione nel campo delle sonorità old-fashioned. Si fa strada una specie di sofferto esistenzialismo, come se certe istanze del metal atmosferico più incline alla malinconia e all’afflizione fosse filtrato nell’impianto classic metal del duo e ne avesse intorbidato sensibilmente l’azione. Accanto a questa considerazione, nasce anche l’idea che la band volesse essere ancora più autonoma rispetto alle influenze di partenza e intendesse viaggiare per conto proprio, senza ingombranti paragoni che ne potessero in parte annacquare l’impatto generale.
Inconfondibile, in “Tragic Magic”, l’andare a braccetto di chitarre e sintetizzatori, all’insegna di una contaminazione reciproca che dischiude facilmente a movimenti ariosi, delicati, ritmati come se fossero delle partiture heavy metal riassemblate secondo andamenti cari al post-punk e al dark rock, con un tocco progressive d’altri tempi molto marcato. L’opener “Fatal Breath” permette già una felice esibizione dei tratti salienti della formazione, andando a far danzare armonicamente gli In Solitude e i Rush, scampoli synthwave e gli Angel Witch. Ma è con l’ipnotismo al rallentatore di “Ultraviolet” e l’insistente giro di sintetizzatori a doppiare una voce esilissima e tremula che entriamo compiutamente nel mondo degli Spell e ne assaggiamo interamente l’estro.
Ancor prima che ottimi musicisti, Al e Cam sono due mirabili cantastorie e accendono attenzioni ed entusiasmi in poche note, come nell’attacco di “Hades Embrace”. Negli Spell sembra di ascoltare l’eleganza gotica dei migliori Tribulation assoggettata a uno stile meno irruento e urgente, che può ricordare nelle aperture più sognanti e in balia dei sintetizzatori i Rush ottantiani (tipo la melodicissima “Fever Dream”). La tracklist non mostra cedimenti, proseguendo nei suoi accostamenti bizzarri ma coerenti, come l’intersezione di The Sisters Of Mercy e primi Iron Maiden di “Sarcophagus”, il tambureggiare ovattato di “Ruined Garden” – con addirittura un pianoforte a far capolino e gli arpeggi a stemperarsi in un sogno beato – la coralità elegante e dolcemente decadente di “Souls In Chains”. Solismi intensi e narrativi, il protagonismo del basso e l’interpretazione vocale sospesa tra ruffianerie dark e corposo classic metal sono tutti tasselli fondamentali di un album pensato bene e svolto ancor meglio, dando un’angolatura all’heavy metal nient’affatto comune e molto affascinante. Un piccolo gioiello, che si spera abbia un minimo di visibilità e non resti patrimonio solo di chi setaccia l’underground classic metal in cerca di perle rare.