7.0
- Band: SPIRITWORLD
- Durata: 00:32:12
- Disponibile dal: 05/11/2021
- Etichetta:
- Century Media Records
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Qualche volta comunicati stampa e gimmick andrebbero lasciati da parte, un po’ come quei trailer fuorvianti che indispettiscono all’effettiva visione del film. Si parla di frontiera, di sabbia e di death western nel presentare la creatura di Stu Folsom, artista di Los Angeles che ha prodotto in maniera indipendente questo primo disco targato Spiritworld che viene oggi recuperato e distribuito da Century Media. Le aspettative naturali sono quelle di un gruppo death metal che flirta con una versione più malvagia dei Me And That Man e Kyuss, ma bisogna buttarle velocemente nel cesso perché il western di questo “Pagan Rhythms” è solamente una gimmick e un tema lirico: i nove brani per trenta minuti del trio sono fatti esclusivamente del più cazzuto ed ignorante monumento agli Slayer, con qualche influenza comunque ridotta che elencheremo in seguito. Segnati vocalist ignorante e brutale, tra Jamey Jasta e Max Cavalera, i brani vanno ascoltati e goduti a massimo volume senza aspettarsi soluzioni che reinventano la ruota. Se c’è entusiasmo ed onestà, d’altronde, quale sarebbe il problema? Anche la titletrack in apertura è abbastanza fuorviante in effetti: un brano abbastanza lungo che cerca groove, epicità e impatto trascinandosi anche più di quello che serve. Da “The Bringer Of Light” tutto scorre invece abbastanza veloce e senza intoppi, con accelerate, riff sulfurei, schiaffi e brutte maniere garantiti. Ogni tanto saltano fuori le radici hardcore nel DNA di Folsom (lo testimoniano tupa-tupa e gang vocals), nei ritornelli l’ispirazione è quella dei vecchi Mastodon, che cercano l’epicità attraverso le vocals urlate, mentre negli assoli non continuiamo a sentire altri che la coppia Hanneman/King. In un disco come questo, basato sull’essenziale e sul grezzo trasporto, non si può non godere quando il trio esagera: ecco quindi che “Unholy Passages” diventa forse il pezzo più memorabile del disco grazie a un folle attacco di batteria, una mitragliatrice pronta al massacro che lascerà soddisfatti tutti gli ascoltatori. Si gode anche con i tempi caotici e i riff death metal di “Comancheria” e “Godless”, mentre il gospel che parte sulle distorsioni finali di “Ritual Human Sacrifice” è la perfetta trovata cinematografica per chiudere il disco con la voglia di ricomiciare nuovamente. La sponsorizzazione di Daniel P. Carter (dj di BBC 1), Max Cavalera e Gary Holt non può che certificare questo ignorante gioco al massacro, che dovrebbe trovare sua massima espressione sulle assi di un palco. Li aspettiamo.