6.0
- Band: SPITE (USA)
- Durata: 01:01:47
- Disponibile dal: 27/09/2024
- Etichetta:
- Invictus Productions
È la malignità di una volta, quella che non richiedeva troppi sotterfugi o espedienti particolari per manifestarsi, il tema centrale nella musica degli Spite. La one-man band americana guidata da Salpsan riparte esattamente da dove l’avevamo lasciata con il primo album “Antimoshiach” (2018), alle prese con un black metal assimilabile a un heavy metal estremizzato, invece che a quanto siamo solitamente etichettare come ‘black metal’, per quanto primordiale e ‘back to the roots’ possa essere.
Intensamente tradizionale, legato a conformazioni strumentali basilari, che hanno in corpose cavalcate chitarristiche e ritmiche elementari in crescendo la loro ossatura, lo stile degli Spite abbraccia un ampio ventaglio di sonorità plumbee e poco contorte: si attinge al proto-black metal dei Venom, alle incursioni occulte della scuola italiana di Death SS e Mortuary Drape, si esacerbano i ritmi e le emozioni filtrandole nelle melodie enfatiche dei Dissection, si fa percepire una sottile voglia di eleganza e influssi gotici, accostandosi a trame vagamente sensuali come quelle dei Tribulation.
Di tutte le realtà citate, Salpsan dà un’interpretazione che cerca soprattutto di esaltare l’atmosfera occulta, arcana, delle sonorità metalliche più buie e misteriose, cercando di mettere al centro un riffing arioso e mediamente pulito, ben lontano sia da violenta isteria, che da divagazioni ardite e concettuali. Tutto sa di confortevole tradizione, semplicità, attraverso composizioni dallo sviluppo anche abbastanza meditato, dosate con calma dell’alchimista nei tempi e nelle melodie.
La tracklist di “Third Temple” si dipana allora tra invocazioni demoniache moderatamente variegate, in preda ora a istintività e strappi black/thrash, ora cariche di cerimonialità e teatrale blasfemia, cercando di privilegiare ritmiche tambureggianti e a presa rapida, sia nei midtempo galoppanti, che nelle aperture più aspre e sanguinarie. Un discorso privo di sorprese e che consente di farsi flagellare volentieri da un lotto di canzoni cui non difettano energia, genuina passione e atmosfera, per un impatto generale che può fare la gioia di chi cerca qualcosa di immediatamente gratificante e non impegnativo.
Detto di una vocalità rozza e carica di pathos blasfemo, non si possono non rimarcare anche i limiti di una simile proposta. Se “Antimoshiach” ci aveva conquistato per una certa simpatia di fondo, emanante da composizioni efferate, melodicamente riuscite e senza eccessi, orgogliosamente metalliche e sataniche come potevano essere queste sonorità a metà anni ’80, adesso viene da chiedersi se tutto ciò sia sufficiente. E la risposta è affermativa fino a un certo punto, perché se è vero che pezzi quali “Hounds Of Herod” e “The Black Moon (Yare’ach Shachor)” si ascoltano volentieri, pur non avendo alcun speciale attributo da offrire, dodici brani di questo tipo, per oltre un’ora di durata, diventano abbastanza sfidanti, soprattutto a fronte di un ventaglio di idee per nulla ampio.
Ci sono sezioni tambureggianti, sfoghi di invasata malvagità, vocalizzi spregevoli quanto basta per vellicare gli interessi di chi ama il black metal più affine al metal classico, ma appare evidente che al di là di un lodevole spirito da fan che mette in luce il suo amore per questi suoni, non vi sia molto altro da offrire.
Resta il fatto che Salpsan, in questo suo sentito tributo all’occulto e alla dannazione eterna, si diverte e fa divertire, mentre non è in grado di approfondire meglio alcune caratteristiche di queste sonorità e uscire dall’ombra di chi lo ha ispirato.
La gradevolezza di “The Third Temple” non è in dubbio, anche se rimane un prodotto destinato a un bacino d’utenza limitato, che non chieda troppo quanto a inventiva e ami cullarsi in sonorità note e arcinote.