7.0
- Band: SPOCK'S BEARD
- Durata: 01:17:05
- Disponibile dal: 17/11/2006
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Audioglobe
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Fa quasi tenerezza vedere dei professionisti come gli Spock’s Beard intenti a prendere le distanze da una storia fatta di soddisfazioni e qualità come quella passata con Neal Morse, quando in realtà fatti (musicali) parlano chiaro. Neal Morse è uscito dalla band dopo il fortunato “Snow”, lasciando i fan nello sconforto, essendo lui il fondatore ed il principale compositore. Ha infatti continuato come solista a portare avanti il verbo del prog rock settantiano mischiato a discutibili tematiche religiose. E gli altri? Gli altri, tenuto il nome di battesimo Spock’s Beard, hanno continuato rimboccandosi le maniche e consegnandoci un lavoro piatto, oscuro e negativo come “Feel Euphoria”, si sono abbondantemente rifatti con l’ottimo “Octane” ed ora giungono sul mercato con il nuovissimo “Spock’s Beard”. La prima cosa che salta all’occhio è la semplicità della copertina, un fatto sicuramente inedito per la band americana. Come accennavamo all’inizio, nonostante le dichiarazioni ostentate nella bio, notiamo con piacere il parziale ritorno alle origini da parte dei Nostri. Le melodie tastieristiche targate Morse tornano a farsi sentire con insistenza fin dalla prima, bellissima, “On A Perfect Day”, dotata di una melodia tanto bella quanto velatamente malinconica, l’ideale per queste uggiose giornate autunnali. Quello che appare da questo lavoro è la volontà di mischiare le strutture e le geometrie proprie del prog rock con l’immediatezza del pop e talvolta con la veemenza dell’hard rock. Andiamo dal classico ed immancabile strumentale “Skeletons At The Feast” all’hard rock ‘purpleiano’ (gli ultimi Deep Purple, però) di “Is This Love”, alle melodie di “All That’s Left” che portano alla mente gli ultimi Red Hot Chili Peppers più intimisti. E come non citare l’immancabile suite “As Far As Mind Can See”, un classico per ogni album prog che si rispetti. Un’accozzaglia apparentemente slegata di stili, che pur scoraggiando ad un primo ascolto, ci entra nel petto e a distanza di tempo ci costringe a riascoltare il CD più e più volte, ed ogni volta ci accorgeremo di nuovi orizzonti e nuove sfumature. Un plauso al sempre più ispirato Alan Morse alla chitarra, al bravissimo Nick D’Virgilio (batteria, voce e chitarre) sempre più a suo agio nella nuova veste di cantante e al Dave Meros compositore/bassista, una piccola perla troppo poco sfruttata in passato. Per i fan della band è un acquisto obbligato, ci mancherebbe.