7.5
- Band: STAIND
- Durata: 00:35:20
- Disponibile dal: 22/09/2023
- Etichetta:
- BMG
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Chi scrive ricorda bene l’esplosione degli Staind, imbucati alla festa nu metal grazie a Fred Durst e subito protagonisti dei palinsesti di MTV (con i video di “It’s Been A While” e “Outside” trasmessi venti volte all’ora), al punto da far debuttare il loro terzo album ai vertici della Billboard Chart.
Sull’onda lunga del successo di “Break The Cycle” seguiranno altri tre lavori (“14 Shades Of Grey”, “Chatper V” e “The Illusion Of Progress”) in fotocopie sempre più sbiadite, prima del colpo di coda con l’omonimo del 2011, ideale epitaffio discografico a dieci anni esatti dall’esplosione mainstream. In questa dozzina d’anni di loro si è parlato più che altro per la musica country e le simpatie trumpiane del frontman Aaron Lewis, ma quando, durante la pandemia, è trapelata l’intenzione di un nuovo disco d’inediti l’attenzione degli ex adolescenti cresciuti a pane e TRL si è subito destata: sarà la combinazione perfetta tra nostalgia e conto in banca, sta di fatto che mentre ancora ci stiamo togliendo la bruschetta nell’occhio per il video revival dei Blink 182 ecco arrivare “Confessions Of The Fallen”, ottavo lavoro che riporta indietro le lancette ai tempi dell’11 settembre e agli anni d’oro del post-grunge.
Il chitarrista Mike Mushok aveva garantito un paio d’anni fa che avrebbero fatto un’accurata selezione dei pezzi e possiamo dire che è stato di parola, tanto che alla fine in scaletta trovano posto solo dieci brani, per poco più di mezz’ora di musica. Troppo poco vista la lunga attesa? Forse sì, ma in questo modo ci troviamo di fronte ad un lavoro compatto e con all’interno tutto quanto il vecchio fan degli Staind si aspetta da loro.
Gli armonici incazzati dell’opener “Lowest In Me” s’incastrano alla perfezione tra “Dysfunction” (nota per le nuove leve alla scoperta del nu metal che fu: andate a rispolverare “Mudshovel”) e il già citato “Break The Cycle”, mentre Aaron avrà anche perso i capelli ma non un’oncia del suo talento vocale; “Was Any Of It Real?” com quel sottofondo elettronico avrebbe ben figurato nelle colonne sonore dell’epoca (invecchiate peraltro molto meglio dei film stessi); “In This Condition” getta il guanto agli sfidanti dell’arena post-grunge (dai Seether ai Three Days Grace); e potremmo andare avanti così a oltranza, come i vecchi intorno al fuoco che rievocano i bei tempi andati.
Per non annoiare i lettori più giovani ci soffermiamo quindi sul capitolo ballad, forse il più delicato visto che proprio queste furono la scintilla da cui tutto ebbe inizio: ebbene sia “Here And Now” che “Better Days” ci hanno tutto sommato convinto (più la prima della seconda) con la giusta dose di malinconia di cui Mr. Lewis è da sempre maestro, ma senza scadere nel bieco autocitazionismo o nell’eccesso di melassa occorso a partire da “14 Shades of Grey”, ed evitando altresì di voler compiacere anche la casalinga di Voghera (citofonare David Draiman per referenze).
Chcchè ne dicano loro stessi non sono certo passati di moda, ed anzi proprio in tracce come “Out Of Time” o “Cycle Of Hurting” mostrano, se pur sotto traccia, di saper stare al passo con le nuove leve sempre più abili a mischiare chitarroni ed elettronica (dai Bad Omens agli Spiritbox passando per i Motionless In White), in un gioco di specchi in cui il ruolo di maestro e allievo si confondono.
“Confessions Of The Fallen” non inventa nulla (e anzi, sul finale molla forse un po’ il colpo), ma non è questo che gli si chiede: come una coperta calda, il ritorno degli Staind avvolge le orecchie degli ex (?) ragazzi divenuti adulti rievocando il sound dell’adolescenza, in una sorta di requel che funziona bene come i nuovi capitoli di “Scream”.