7.5
- Band: STENCH
- Durata: 00:38:04
- Disponibile dal: 26/09/2014
- Etichetta:
- Agonia Records
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Dopo aver sperimentato ampiamente e su più fronti con i Tribulation, Jonathan Hultén e Johannes Andersson riesumano gli Stench e provano a dare una rinfrescata anche a questo progetto che sinora era rimasto nel più fosco underground svedese. L’esperienza maturata dal duo con “The Formulas Of Death” si fa indubbiamente sentire in questo “Venture”: si pensava che i Nostri avrebbero tenuto gli Stench come valvola di sfogo per i loro istinti più mordaci e old school, invece il nuovo album sembra tutto sommato seguire le orme della suddetta ultima opera dei Tribulation, pur non raggiungendo le stesse vette di imprevedibilità e ricercatezza. Si può infatti dire che quando gli Stench vadano all’assalto, lo facciano ancora secondo “normali” canoni death-thrash, per un mix di Sarcofago, primissimi Morbid Angel e Merciless; quando invece le partiture si fanno più ad ampio respiro, vengono introdotte copiose dosi di atmosfera e quelle velleità pseudo-seventies che abbiamo già avuto modo di conoscere seguendo la band-madre dei ragazzi. Non a caso, la tracklist presenta sia episodi brevi e diretti, come la doppietta iniziale, sia canzoni più lunghe e stranianti (“Small Death”, “Celebration”, la title track), nelle quali gli svedesi diversificano di parecchio l’orientamento delle trame chitarristiche, sovrapponendo varie soluzioni con l’intento di dare al tutto maggiore profondità. Soprattutto “Road” e le succitate “Small Death” e “Celebration” si rivelano tracce furbe e sibilline nel loro mescolare ritmiche “dritte”, un valzer luciferino e un lavoro di chitarra arcuato, che nei momenti meno tesi arriva persino a fare da base a dei cori di voci pulite maschili e femminili. Inoltre, piace come il disco si mantenga all’interno di una durata complessiva assolutamente ordinaria: quaranta minuti scarsi, facili da analizzare e da digerire, esattamente come accadeva negli anni Ottanta e primi Novanta. Insomma, Hultén, Andersson e il cantante Mikael Pettersson fanno davvero le cose per bene su questo “Venture”: qualcuno lo chiamerà magari un disco di transizione, ma il risultato finale è comunque concreto e a dir poco godibile. Sono opere come questa che ancora oggi ci inducono a tenere gli occhi sempre aperti sulla scena svedese, in barba a coloro che continuano ad aspettare che le cosiddette vecchie glorie si sveglino e producano qualche inverosimile miracolo.