8.0
- Band: STEVE HACKETT
- Durata: 00:57:45
- Disponibile dal: 24/02/2017
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Sony
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Ci sono artisti che, avendo alle spalle trenta o quarant’anni di carriera, si concedono il lusso, anche meritato, di sedersi sugli allori del passato, vivendo il ricordo dei tempi che furono. Steve Hackett potrebbe essere uno di questi: alle sue spalle c’è un passato monumentale, con pagine e pagine di storia della musica, un passato che Hackett non rinnega e ama visceralmente, come testimoniano i suoi numerosi tour sotto il nome di “Genesis Revisited”; eppure il chitarrista non si accontenta, anzi, si spinge sempre più in là. Suonare prog rock per lui significa semplicemente non avere limiti, scegliendo liberamente il linguaggio più consono alla sua espressività, che si tratti della musica classica, la delicatezza delle chitarre acustiche, l’energia del rock e, perché no, anche l’immediatezza del pop. Dopo l’ottimo “Wolflight” del 2015, l’aspettativa era molto alta e fortunatamente il musicista inglese non ci ha deluso, componendo un lavoro eccellente che nasce da un’urgenza artistica di un uomo che vive nel suo tempo e non riesce a chiudere gli occhi davanti alle brutture del mondo. “The Night Siren”, dunque, vuole essere un messaggio di unità, che affronta temi importanti, dall’immigrazione alla multiculturalità e la diversità vista come valore. Per fare questo, Hackett ha raccolto attorno a sé musicisti provenienti dalle parti più disparate del mondo (Islanda, Azerbaigian, Israele, Ungheria…), trovando nella musica il linguaggio universale per comunicare e abbattere i muri, reali e metaforici, che molti popoli stano erigendo per chiudersi nel loro mondo. Musicalmente questo percorso si traduce in un arazzo di forme e colori che solo un artista dalla spiccata sensibilità come Hackett poteva maneggiare senza perdere il filo conduttore. Il metodo usato si allontana da quello classico, in cui le composizioni non nascono nella loro interezza, ma al contrario sono il risultato di un mosaico, composto da diversi tasselli composti in tempi diversi ed assemblati in maniera armonica fino a creare le canzoni. Il risultato, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è estremamente coerente, seppure caratterizzato da mille sfaccettature: si parte dalla meravigliosa “Behind The Smoke”, dove le percussioni e gli archi creano una misteriosa atmosfera kashmiriana; “Fifty Miles From The North Pole” ci catapulta fra i ghiacci del Nord, con la sua melodia cristallina e scintillante, guidata ancora dall’orchestra e da un coro di voci bianche; “Anything But Love” inizia con una chitarra flamenco semplicemente perfetta, per poi trasformarsi in un brano arioso e solare, un pezzo pop rock di grande qualità; “In Another Life” strizza l’occhio al folk inglese e ai Jethro Tull e, quando nella chiusura viene dato spazio alle uillean pipes, il nostro viaggio ci porta direttamente nelle verdi vallate dell’Irlanda. Potremmo andare avanti così per ogni brano, ma ci limitiamo solo ad altri due pezzi: il primo, “Inca Terra”, è un meraviglioso tributo al Perù, con una melodia lussureggiante e soleggiata, con armonie vocali che ci riportano alla mente gli Yes e un eccezionale intreccio strumentale tra accelerazioni rock, percussioni e strumenti etnici; il secondo, invece, che funge un po’ da summa dell’intera opera, è “West To East”, un metaforico abbraccio corale che, raccogliendo voci e cantanti da tutto il mondo, convoglia in modo perfetto il messaggio di pace e speranza di Steve Hackett al mondo. Un lavoro eccellente, dunque, che riesce a coniugare la classe di un musicista dalla sensibilità unica, con la meraviglia e il fascino esotico del viaggio.